29/10/17

Su vostra richiesta: Fosca, la Puccini-non-Puccini

Nella vita di Puccini c’è un personaggio che sentiamo parlare di rado, e di solito passa inosservato: Fosca Gemignani. Non è un personaggio particolarmente simpatico e anche i biografi non ne trattano molto. E’ la figlia di Elvira con il primo marito Narciso Gemignani; Elvira va sposa a neanche venti anni il 19 febbraio 1880 e il 5 aprile nasce Fosca: sei settimane dopo il matrimonio. Nel 1885 nasce un altro bambino, Renato. Gemignani era un commerciante di drogheria all’ingrosso, economicamente piuttosto agiato, ma anche appassionato di musica, cantante dilettante, organizzatore di concerti e sicuramente conosceva Puccini. Si dice che Elvira andasse a lezione di pianoforte da Puccini, fatto sta che nel marzo 1886 rimane incinta di lui; e fuggirono insieme da Lucca. Il Gemignani prese il tradimento con una certa sportività, ben inteso a patto che Elvira si facesse vedere a Lucca il meno possibile. Trattenne con sé il figlio maschio e lasciò Fosca alla madre; secondo qualcuno avrebbe volentieri tenuto tutti e due ma la bambina senza la mamma era caduta in una gravissima depressione e si decise di lasciarla andare. Gemignani condusse la sua vita senza rimpianti, anche se sembra che lui ed Elvira litigassero periodicamente; morirà nel 1904 probabilmente per i postumi di un pestaggio da parte di un marito che aveva cornificato.

Ho già scritto come questo sia un periodo durissimo per Elvira: marchiata come adultera, con un figlio illegittimo di Puccini (Antonio detto Tonio, nato il 22 dicembre 1886), malvista spesso anche dai parenti presso i quali si deve rifugiare quando le misere entrate di Puccini non permettono di vivere tutti insieme. Fosca da anziana signora ricordava ancora di quando da bambina veniva mandata a letto presto per risparmiare la cena. Questa famiglia irregolare – Giacomo, Elvira, Fosca e Tonio – se la vide piuttosto brutta fino al successo di Manon Lescaut (1893) che finalmente portò entrate regolari e la possibilità di riunire tutti sotto uno stesso tetto, o meglio più di uno: da una parte a Torre del Lago, non ancora nella villa che poi fu la dimora preferita di Puccini, o a tratti a Milano dove Puccini ebbe sempre un appartamento in affitto, prima in via Solferino e poi in Via Verdi su un lato della Scala. Un motivo di scontento perenne fra Elvira, Fosca e Puccini fu proprio Torre del Lago: le donne preferivano di gran lunga stare a Milano dove la vita era più piacevole, piuttosto che lontano dal mondo di faccia ad una palude.

Puccini accetta Fosca come una figlia, lui la chiamava “Beo”, lei lo chiamava “babbo”,  il che ha fatto pensare a qualcuno che davvero fosse figlia sua. Io non ci credo perché questo costringerebbe ad aprire scenari difficili da valutare: per esempio, se come tutto lascia pensare il matrimonio fra Gemignani ed Elvira serviva a riparare un fatto compiuto, come mai Gemignani avrebbe dovuto sposare in tutta fretta Elvira se non era incinta di lui? – Qualcuno avanza l’ipotesi che anche Renato fosse figlio di Puccini, e questo potrebbe essere più verosimile.

Nel 1900 Fosca era una signorina in età da marito. Apprendiamo da una lettera di Puccini che aveva almeno due spasimanti: un violoncellista squattrinato ed un tenore, Salvatore Leonardi detto Toto, e Puccini era arrabbiato con lei perché preferiva il violoncellista a Leonardi che, figlio di una baronessa e di un magistrato, almeno sarebbe stato in grado di mantenerla. La lettera è abbastanza pesante e si indovina che dietro ci devono essere state discussioni familiari intense: qui Puccini svolge funzione paterna, e anche con una certa foga. Leonardi smise di cantare molto presto, divenne prima impresario e poi imprenditore di un certo successo, e fu lui a sposare Fosca nel 1902. La coppia risiedeva principalmente a Milano in un appartamento lussuosissimo in via Morone angolo via Manzoni, per le visite a Torre del Lago Fosca aveva acquistato un villino separato che poi era lo stesso (ex proprietà Grottarelli) dove aveva vissuto con la famiglia Puccini prima che questa acquisisse la villa grande che fu la residenza definitiva del maestro. Appena Fosca lascia casa Puccini, inizia una certa corrispondenza, per lo più su argomenti di natura familiare e per noi di scarso rilievo. Puccini lamenta che una volta uscita Fosca di casa la vita è più difficile. Ricordiamo che nel 1902 siamo in piena crisi per l’amore fra Puccini e Corinna, può anche darsi che il precipitare della relazione fra Puccini ed Elvira abbia indotto Fosca a sposarsi per uscire da una famiglia sempre più tormentata dall’infedeltà di lui e dalla gelosia di lei, ormai giunte entrambe a livelli patologici. Fosca, fino a quando è rimasta in casa, dev’essere stata una sorta di ammortizzatore tra le reciproche incomprensioni, che viene a mancare proprio quando la crisi coniugale diventa più acuta.

Il matrimonio di Fosca con Leonardi non fu dei più felici. Punteggiato dalle infedeltà di entrambi, finirono in pochi anni con il separarsi tacitamente e condurre ognuno la propria vita. Ebbero tre figli, Franca, Elvira ed Antonio. Elvira, che ovviamente prendeva il suo nome dalla nonna, ebbe da Puccini il soprannome “Bicchi”; crebbe come una piccola principessa nell’ambiente della Milano bene – i Crespi, i Visconti, i Toscanini che visitavano regolarmente il salotto di Fosca - con il tempo la piccola Elvira assumerà lo pseudonimo “Biki” e aprirà un celebre atelier di moda, la cui cliente di punta sarà Maria Callas.

Ci fu una grave rottura fra Puccini e i due Leonardi, Fosca e Toto, in coincidenza della vicenda del suicidio di Doria Manfredi: per alcuni anni furono dichiarate persone non gradite in casa Puccini e in generale a Torre del Lago. Inizialmente, appoggiandosi ai frammenti di lettera che Vincent Seligman aveva resi pubblici nella corrispondenza di sua madre, si sapeva che Puccini lamentava che i parenti di Elvira ne avessero eccitato la gelosia nei confronti della povera domestica Doria; ma non si sapeva quali fossero questi parenti. Con l’emergere di altra corrispondenza, fra cui due lettere alla Seligman citate solo parzialmente da Vincent, ora finite nella disponibilità della Library of Congress e leggibili per intero, l’ipotesi più plausibile è che a montare la rabbia di Elvira contro Doria sia stata proprio Fosca. Valleroni poi, che scrive nel 1983 e raccoglie le memorie tramandate dal popolo di Torre del Lago, dà questa cosa per sicura. Fosca intratteneva una relazione con Guelfo Civinini, che frequentava casa Puccini come secondo librettista de “La Fanciulla del West”. La povera Doria Manfredi li avrebbe involontariamente sorpresi in un momento intimo, e sarebbe diventata suo malgrado un testimone scomodo da far sparire di casa. – Puccini era sicuramente a conoscenza della relazione, forse potrebbe essere stato informato proprio da Doria, o forse potrebbe averla scoperta da solo. Sta di fatto che Civinini viene buttato fuori casa e la sua carriera di librettista inizia e termina con La Fanciulla del West. In una delle lettere della Library of Congress Puccini anzi lamenta l’orrore di dover mettere in musica un libretto scritto da una persona a cui addossava parte della responsabilità della morte di Doria. Schickling è a conoscenza di un dossier di Puccini in una cartellina intitolata “Fosca – Civinini”; forse un dossier simile a quello che compilarono gli investigatori che sorvegliarono la Cori, ma è di proprietà di un collezionista privato che non ne rende noto il contenuto.

Per cui Fosca avrebbe eccitato la gelosia di sua madre contro la domestica per ottenerne il licenziamento. Puccini si avvede subito di questa cosa, tanto che sempre scrivendo alla Seligman – la vicenda Manfredi si sta facendo grave ma non è ancora precipitata - dice di aver chiuso i rapporti con la famiglia Leonardi (Fosca e suo marito). Come sappiamo, la gelosia di Elvira crebbe fino ad un livello patologico, andò a diffamarla presso la madre, il prete, gli abitanti di Torre del Lago, insultandola pubblicamente e minacciandola. In breve Puccini ed Elvira si trovarono in rotta e la convivenza divenne impossibile. Il Puccini parte per Roma, Hotel Quirinale, ed Elvira per Milano. Il 23 gennaio 1909 Doria si avvelena con tre pastiglie di sublimato corrosivo: il veleno causa emorragie inarrestabili ed altro non si può fare che attendere la morte della ragazza, che giunge nella notte del 28 gennaio.

Esiste una testimonianza in forma di lettera da Carlo Marsili, figlio di Nitteti sorella di Puccini a Ramelde, altra sorella di Puccini. Il giovane Carlo fu spedito da Ramelde a Roma per sorvegliare Puccini che era al colmo dell’abbattimento: si temeva un gesto irreparabile. Un dettaglio ci fa sorridere, nonostante tutto: un Puccini irriconoscibile, invecchiato di anni in pochi giorni, che sospirando e piangendo e percorrendo nervosamente la camera d’albergo si ingozza di dolci e paste nella speranza di morire di diabete. Un dettaglio, invece, è straziante: alla notizia della morte di Doria, Fosca ed Elvira a Milano ne ridono perché si sono finalmente tolte di torno l’impicciona.

All’inizio del 1910 sappiamo che Fosca è malata a Milano, ormai era completamente separata dal marito, Elvira va ad assisterla e rimprovera Puccini per la sua freddezza nei confronti della figliastra (ma alla fine Puccini si risolve a scrivere anche a lei). Qualche mese dopo Fosca cerca di riallacciare il rapporto con il patrigno scrivendogli mentre si trova a New York, ma Puccini non ha ancora dimenticato. Per il 1912 troviamo Fosca riconciliata con Puccini, perché accompagna lui ed Elvira in un viaggio a Parigi.

Adami ci dà notizia della presenza di Fosca e di Leonardi alla prima lettura, con esiti disastrosi, della stesura iniziale del libretto del primo atto di Turandot. Successivamente, abbiamo notizia di Fosca al capezzale di Puccini nella clinica di Bruxelles. A sentire Vincent Seligman, figlio di Sybil, le cose andarono così: solo Tonio e Fosca erano a conoscenza della diagnosi di tumore che imponeva una cura con il radio dall’esito incerto; a Puccini non fu detta tutta la verità, e neanche ad Elvira che non stava troppo bene neanche lei. Quando Puccini parte il 4 novembre 1924 per il viaggio della speranza a Bruxelles lo accompagna Tonio, Elvira ha la bronchite e Fosca rimane ad assisterla. Da Londra arriva a Bruxelles la vecchia amica Sybil, che presa coscienza della gravità della situazione scrive a Fosca di venire immediatamente.

Narra Vincent Seligman che nel pomeriggio del 28 novembre Fosca si trova al letto del maestro e inizia a scrivere, a matita, una lettera a Sybil dove annuncia che, nonostante l’operazione sia stata pesantissima, ci sono speranze di guarigione. A metà foglio si alza per andare in corridoio a cercare nella borsa l’indirizzo di Sybil e in quei due minuti che rimane fuori della stanza, Puccini ha un collasso cardiaco. Quando rientra è praticamente moribondo. Morirà il giorno successivo e Sybil riceverà la mezza lettera scritta a matita insieme con l’annuncio della morte.

Fosca rimane vedova nel 1938, nella stessa maniera in cui era rimasta vedova sua madre. Il Leonardi, che viveva solo in casa con una domestica, viene trovato malridotto e sanguinante nel suo letto e muore per le lesioni riportate dopo pochi giorni. Dopo tre anni verrà casualmente scoperto l’autore del pestaggio; il movente ufficiale fu fatto passare per rapina, probabilmente per proteggere il buon nome di Fosca e del Leonardi, in realtà si trattava della vendetta del fratello di una operaia che il Leonardi aveva tentato di insidiare.

Racconta il Marek, che scrisse una ottima biografia di Puccini in inglese nel 1952 ricercando le fonti originali – tuttora il suo libro è l’unica fonte per il testo di alcune lettere andate successivamente rubate – che facendo ricerche su Puccini nella Milano del dopoguerra ancora devastata dai bombardamenti, le sacerdotesse del culto pucciniano erano due: Rita Dall’Anna, la vedova di Antonio Puccini, che forse il maestro non lo aveva neanche conosciuto, e Fosca Leonardi che viceversa aveva abitato in casa sua da quando aveva cinque anni. Per qualche motivo fra i pucciniani si erano formate due fazioni, i foschisti e i ritisti, apparentemente le due donne, pure aperte alla ricerca e disponibili agli studiosi, erano d’accordo solo su una cosa: la vicenda di Doria Manfredi non doveva essere ricordata.

La vicenda di Fosca ha un epilogo strepitoso. Da una vita Fosca era l’amante del suo padrone di casa di via Morone, il senatore ed industriale Mario Crespi. Nel 1952 (Fosca aveva quindi 72 anni) se lo sposa. Crespi condivideva con due fratelli la proprietà del Corriere della Sera, e sembra che Fosca abbia causato non pochi litigi fra i tre fratelli per le sue intromissioni nella gestione del giornale. Fosca muore nel 1968 a 88 anni.



3 commenti:

  1. Grazie per questi interessantissimi approfondimenti!

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  2. Storia molto complicata ma scritta con grande chiarezza! Grazie.

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  3. Storia molto complicata ma scritta con grande chiarezza! Grazie.

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