L’altra notte non riuscivo a dormire, tormentato da una
coppia di zanzare che, non contente di divorarmi, mi svegliavano ogni cinque
minuti. Alla fine nel mezzo della notte mi sono alzato e sono andato a leggere
qualcosa in salotto per vedere di farmi tornare il sonno. Il caso ha voluto che
mi mettessi a curiosare nelle pagine dell’internet culturale, imbattendomi nelle
immagini scannerizzate di lettere, cartoline e documenti del fondo Bonturi
depositato nella biblioteca statale di Lucca. Ida Bonturi era la sorella di
Elvira, la moglie di Puccini; il marito dell’Ida fungeva spesso da factotum del
maestro per cui a loro rimase questo pacchetto di lettere per lo più minime,
legate a qualche commissione da svolgere, oppure rime scherzose. Tutte scannerizzate
e a disposizione di tutti; qui sotto lascio il link per vederle sul web, o
compilando un form, anche scaricarne le immagini. Lettere per lo più
irrilevanti. Ma nel fondo Bonturi stanno due oggetti archivistici che sono vere
e proprie pistole fumanti: la minuta, lunga 13 pagine, di una lettera che
Puccini pensava di indirizzare alla misteriosa giovane sua amante che chiamava
con gli pseudonimi “Cori” o “Corinna”, e la busta che conteneva la minuta della
lettera. Siamo nel settembre/ottobre 1903.
Brevemente: Puccini si innamorò di questa ragazza nel 1900; si
suppone che all’epoca lei avesse 17 anni, quindi fosse minorenne (la maggiore
età si raggiungeva a 21 anni). Puccini viveva con Elvira a Torre del Lago, ma
spesso si spostava per seguire gli allestimenti di Manon, Bohème e Tosca;
Butterfly era in gestazione. Inizialmente con la ragazza ci furono incontri
clandestini probabilmente nel nord Italia, poi Puccini non deve aver resistito
alla tentazione di esibirla agli amici e la fece venire a Viareggio, a Migliarino,
forse anche a Torre del Lago. Furono visti insieme alla stazione di Pisa, la
voce giunse ad Elvira e scoppiò una grave crisi di gelosia; crisi prolungata,
perché la storia andò avanti per tre anni. Sembra che in almeno una occasione
la Cori abbia assaggiato le ombrellate dell’Elvira (cosa che successe peraltro
anche alla successiva amante, la von Stengel).
Peraltro bisogna ricordare che Puccini ed Elvira non erano sposati, né
si potevano sposare: rimasta incinta di Giacomo, lei aveva abbandonato nel 1884
il suo legittimo marito Narciso Gemignani dividendo con Puccini, il figlio
infante ed una figlia precedente che si era portata dietro dieci anni durissimi
di miseria; ma non esistendo il divorzio era legalmente coniugata al Gemignani finchè
morte non separi.
Abbiamo ottimi motivi di ritenere che la giovanissima Cori
fosse alquanto disinibita: in un bigliettino del 1900 ad un amico, Puccini
vanta di aver goduto di lei sette volte in una notte. In un’altra lettera la definisce “un pezzo di
vagina fresca”. Nel 1900 si sono appena conosciuti, secondo la tradizione su un
treno fra Milano e Torino. Sicuramente una infatuazione travolgente da parte di
lui, ma evidentemente anche una ragazza fuori dal comune. Comunque non una
amicizia intellettuale. Puccini potrebbe aver promesso alla ragazza di piantare
Elvira e di sposarla, non si può dire con quale reale intenzione. Ma la notte
del 25 febbraio 1903 rovescia i piani di Puccini e di Cori, che stava per
compiere i 21 anni. In sole 12 ore si verificano due casi drammatici: la notte
Puccini rimane coinvolto in un incidente automobilistico che lo lascerà per
mesi chiuso in casa a Torre del Lago con una gamba ingessata, sorvegliato a
vista dall’Elvira (donna imponente, passionale e violenta) ed impossibilitato
ad incontrarsi con Cori. Il giorno dopo muore il Gemignani, il che significa
che passati i 10 mesi di vedovanza prescritti dal codice civile, Elvira lo potrà
sposare. Elvira esige di essere sposata, e anche se non fosse d’accordo lui non
può fuggire perché non riesce a camminare. La pressione di amici, parenti, e
finanche di Giulio Ricordi su Puccini perché si comporti da uomo e faccia la
cosa giusta è fortissima. La sorella suora di Puccini commenta che la
misericordia del Signore ha mandato apparenti disgrazie che lo riportassero
sulla retta strada ed evidentemente è difficile immaginare due disgrazie
indipendenti il cui effetto combinato potesse essere così potente.
Questa crisi, con lettere clandestine e continui litigi
familiari dura durante tutta la convalescenza per la gamba rotta. Nell’estate
1903 giungono voci strane sulla Cori e Puccini decide di metterle alle calcagna
a Torino due investigatori privati, un uomo e una donna, per verificare come si
comportasse in sua assenza. I due documentano la frequentazione di locali
equivoci e una lunga serie di incontri fra la Cori e nobili, ufficiali, un
fotografo, oltre alla presenza di un giovane di umile classe, tale Guido, che
funge da amante semistabile – o forse da protettore per una attività di
prostituzione? Uno dei personaggi altolocati si trattiene nell’appartamento di
lei dalle 20 alle 1.30 di una notte e trattandosi di Cori Puccini sa
esattamente che cosa questo significhi (“schifosa!”). Nel colmo della rabbia
Puccini butta giù queste 13 pagine di appunti su cosa rinfacciare a Cori – la
sua grafia già di solito difficile da leggere è ai limiti dell’incomprensibile
per l’agitazione. Elenca un sunto degli incontri accertati dagli investigatori
e la insulta sanguinosamente. In fondo alla decima pagina leggiamo: “Che abisso
di viltà e prostituzione! Siete merda! E con questo grido vi lascio per
sempre alla vostra vita!”
L’archivista della biblioteca non ha neanche indovinato
l’ordine esatto delle pagine e non ha capito che questo doveva essere l’ultimo
foglio.
Queste sono le bozze della lettera che tronca il rapporto,
non sappiamo come fosse la lettera definitiva, quello che sappiamo è che la
Cori mette le sue lettere da Puccini in mano ad un avvocato. Sappiamo con
certezza, perché glielo rinfaccerà Elvira per iscritto ancora molti anni dopo,
che quando l’avvocato comunica le richieste della Cori Puccini si prende una
tale paura da meditare di fuggire in Svizzera, segno che verso di lui viene
minacciata una azione non civile ma penale, forse per corruzione di minorenne. Alla
fine Cori, molto più modestamente, si accontenterà di un risarcimento e sparirà
dalla vita di Puccini. A dire il vero, sparirà dalla storia, perché nonostante
tutto l’entourage di Puccini fosse a conoscenza di lei, l’avessero vista, le
avessero parlato, le avessero scritto ed avessero trattato con lei la libertà
del maestro, la sua identità venne tenuta rigorosamente segreta da tutti. Non
si è mai saputo il suo vero nome. Ci sono letteralmente decine di lettere scritte
nell’entourage di Puccini dove è nominata solo come “la piemontese”.
Il primo a ricercarla fu Massimo Mila. La vecchia madre del
Mila una sera disse che l’amante di Puccini era stata una sua compagna di
scuola. Però Mila non riuscì a venire a capo della traccia (io, per conto mio, ne
deduco che se la signora Mila non si sbagliava, allora la Cori possa non essere
stata l’unica giovane torinese con la quale Puccini abbia avuto una avventura).
A seguito della testimonianza della signora Mila si ritenne che la Cori fosse
una ragazza di elevata estrazione sociale e che per questo fosse stato
mantenuto l’anonimato.
Più recentemente i tedeschi Krausser e Schickling ritengono
di averla identificata, partendo da queste minute di lettera, in una Maria Anna
Coriasco, una sartina torinese di modestissima famiglia che è vissuta nella più
assoluta anonimità fino al 1961. L’unica foto nota di lei è quella sulla pietra
tombale, una vecchietta insignificante, quanto di più lontano dall’atleta del
sesso che aveva soggiogato Puccini. Krausser è un romanziere, ha scritto un bel
romanzo sul caso semplicemente copiando un po’ di lettere vere e immaginandosi
alcune lettere per coprire i buchi della vicenda. Un romanzo senza pretesa di rigore storico ma
che non deve essere troppo lontano dalla realtà. Schickling, invece, è il più
serio degli esperti di Puccini della nostra epoca e se si schiera per questa
ipotesi ha un peso.
Come sono arrivati i tedeschi alla Coriasco? Mila spulciò
inutilmente i registri dell’università di Torino alla ricerca di una
studentessa di magistero come sua madre i cui estremi fossero compatibili con
la figura di Cori. Krausser e Schickling hanno trovato la pistola fumante a
metà di questa lettera. All’inizio di pagina 14 si trova l’appunto “suo padre
condannato per oltraggio al pudore”. I due tedeschi hanno sfogliato gli annali
giudiziari del 1903 fino a trovare un Domenico Coriasco condannato per aver
molestato una bambina ai giardinetti negli stessi giorni in cui Puccini scrive
questi appunti. Coriasco aveva due figlie, Domenica e Maria Anna. Sappiamo
dagli appunti di Puccini che Cori ha una sorella e che una donna con le
iniziali D.C. (Domenica Coriasco?) copriva le sue scappatelle. Cori ha detto a
Puccini di avere anche un fratello, ma Puccini sospetta trattarsi di una balla
e che il supposto fratello sia in realtà Guido. Maria Anna Coriasco è nata nel
1882 e quindi come età è compatibile. E, visto che Puccini coniava spesso
soprannomi da giochi di parole, torna perfettamente che Cori sia
l’abbreviazione di Coriasco e Corinna venga da Cori + Anna.
Della condanna di Coriasco padre probabilmente fecero tesoro
gli avvocati di Puccini, inducendo la Cori ad accontentarsi dei quattrini: in
un processo fra il più noto artista italiano e la figlia di un maniaco
sessuale, questa non avrebbe avuto alcuna speranza di convincere la corte. Una
ulteriore conferma dell’ipotesi Coriasco sta nelle date. Coriasco padre andò a
processo il 25 settembre 1903 – proprio nei giorni in cui Puccini sta
accumulando prove contro Cori. Segue la rottura tra i due, Cori si rivolge ad
un avvocato, la lettera dell’avvocato arriva a Torre del lago il 24 novembre, e
questo lo sappiamo da Elvira che scrive il giorno stesso a Luigi Illica che è
arrivato un ricatto della piemontese. Puccini si dispera e medita la fuga. Il
27 novembre la condanna di Coriasco padre viene confermata in appello, e il 28
Puccini scrive a Illica che “la crisi è passata ma è stata tremenda”.
Coincidenza? Allora la posta arrivava in un giorno.
La non onorevole vicenda di Coriasco padre ci fa pensare: sappiamo
bene che dietro alle ragazze di dubbia moralità stanno spesso storie di
famiglie disastrate se non di violenza infantile nell’ambito familiare. Sotto
questo aspetto la figura della Cori non è più tanto glamour, anzi più che ci
pensavo più ha incominciato a farmi pena. Poi ho pensato alle altre amanti di
Puccini. La tenera baronessa von Stengel, della quale sono sopravvissute tre
belle lettere d’amore in un simpatico italiano sgrammaticato; molto più giovane
di Puccini ma gli sopravvisse neanche un paio di anni. Sibyl Seligman, l’inglese
bellissima ricchissima coltissima ed intelligentissima, che morì mezza alcolizzata.
Poi ho pensato a Giacomo ed Elvira, perennemente in guerra, egoista e
doppiopesista lui, distrutta dalla gelosia lei e sempre amareggiata. Ho pensato
alla povera Doria che si suicidò per lo stalking di Elvira. Tutte queste anime
che non ci sono più e che in definitiva tanto hanno sofferto mi hanno ispirato,
collettivamente, una profondissima pena. Ed è finito che non sono più riuscito
ad addormentarmi.
http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/viewItemMag.jsp?case=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ALUA0169832
RispondiEliminaarchivarius2@gmail.com31 dicembre 2023 alle ore 09:09
Bisognerebbe commentare adesso che davvero nella soffitta di Torre del Lago c'era la minuta di un telegramma dove Cori è identificata come tale Corinna Maggia, all'epoca studentessa di magistero e in seguito maestra del comune di Torino. Il che vuol dire che tutto il ragionamento di Krausser era campato per aria. Lascio l'articolo a memoria, ma chi volesse la vera storia di Corinna può leggerla sul mio Almanacco musicale e drammatico per l'anno 2024, pubblicato su youcanprint.it e reperibile, oltre che dall'editore, su Amazon, sulle principali librerie online e fisiche.