Una storia pucciniana curiosa è quella di George Richard
Marek (1902-1987). Viennese di nascita,
emigra con tutta la famiglia negli USA a 18 anni e diviene cittadino americano
a 23. Pubblicitario e giornalista, diventa successivamente un funzionario della
RCA. Nel primissimo dopoguerra gira l’Italia a caccia di souvenir musicali, in
particolare pucciniani, in funzione di un libro che intende scrivere e che poi
uscirà nel 1951. Racconta Marek di un terribile viaggio lungo la costa
tirrenica, usando benzina comprata al mercato nero per mandare avanti un’auto
che ogni pochi chilometri si guasta. Passando da Viareggio nota il cartello di
Torre del Lago e gli prende l’estro di cercare la villa di Puccini. La trova
semiabbandonata, il giardino incolto, nel salotto tre dita di polvere ma per il
resto lasciato come se il maestro fosse partito il giorno prima. Qualche
vandalo, probabilmente militari tedeschi, ha spezzato le vetrate della cappella
che funge da mausoleo.
Arrivato fortunosamente a Milano va a ricercare nella
biblioteca del conservatorio, ancora parzialmente danneggiato da un
bombardamento, i compiti di composizione di Puccini con segnate le annotazioni
del suo maestro Ponchielli. Raccoglie le confidenze delle due vestali che
vegliano sulla memoria del maestro: Rita Dall’Anna, recente vedova di Antonio
il figlio del maestro – a dire il vero non si sa nemmeno se l’abbia conosciuto,
quando Puccini muore Rita ha venti anni; e Fosca Gemignani Leonardi, che si
lascia volentieri chiamare Fosca Puccini, che almeno nella casa di Puccini è
cresciuta. Le due donne non vanno sempre d’accordo – dietro di loro ci sono
quasi due partiti di ritisti e foschisti – ma su una cosa tutti sono d’accordo,
di non voler nemmeno sentir parlare del caso Doria Manfredi. Tutte i libri
pubblicati in Italia non ne scrivono affatto, la raccolta di lettere pubblicata
da Adami salta del tutto le annate 1909 e 1910 per non dover affrontare
l’argomento.
Tornato a New York Marek si trova un giorno in una biblioteca
ed osserva con i bibliotecari che nello schedario ci sono pochissimi libri su
Puccini. Gli rispondono che in cantina ci sono quattro casse di roba su
Puccini, non ancora inventariata. Marek va a vedere ed intuisce che cosa è
successo – nessuno saprà mai spiegarglielo nei dettagli: dei soldati americani
sono passati da Torre del Lago, hanno razziato un la villa ed hanno portato via quattro casse di
lettere personali del maestro. Non sapendo cosa farne, le hanno depositate alla
biblioteca. Ed ecco lì circa seicento lettere in originale, e soprattutto senza
alcuna supervisione dei parenti.
La biografia di Marek è largamente basata sulla lettura di
queste lettere. Dato che i materiali poi sono stati restituiti alla famiglia –
bisognerebbe dire purtroppo, che sarebbe stato meglio se li tenevano gli
americani – in parte sono stati dispersi o rubati o sono inaccessibili, per
alcune lettere ormai l’unica fonte disponibile sono le traduzioni che ne fece
Marek. Siccome Marek cita letteralmente alcune lettere, ma ne conosce molte di
più, per di più ottenute senza alcun filtro, bisogna leggere il suo libro anche
tra le righe: lui sa molto di più di quello che scrive.
Davanti a Marek si squaderna improvvisamente la vita privata
di Puccini. Solo Vincent Seligman in precedenza, attingendo alle lettere
ricevute da sua madre, aveva realmente potuto osservare il Puccini privato (ed
infatti Seligman era l’unico ad aver parlato di Doria in un libro). Ma le
lettere alla Seligman iniziano relativamente tardi, nel 1905, Marek ha davanti
a sé tutta la vita di Puccini scritta come su un quaderno. Ed inizia a
decifrarla.
A Marek mancano alcune informazioni spicciole che oggi diamo
per scontate. Per fortuna trova subito una lettera dove Puccini racconta la
storia della sua famiglia e soprattutto presenta una lista delle sue debordanti
sorelle; ma a Marek per esempio non sono chiari tutti i nipoti che pure tornano
nella corrispondenza. Un altro punto importante che a Marek non è chiaro è che
lui pensa che a Puccini si possono attribuire infedeltà occasionali che
scatenano la gelosia di Elvira, ma non arriva a comprendere che almeno due di
queste relazioni durano anni, Puccini ne è travolto non solo sessualmente ma
anche sentimentalmente ed Elvira ha rischiato davvero di essere buttata fuori
casa. Ma anche se mancano alcuni pezzi del puzzle, la ricostruzione che Marek
opera della vita di Elvira insieme a Puccini è assolutamente la migliore mai
messa su carta per conoscenza e profondità. Marek per esempio fa notare, con
molta perspicacia, che la gelosia di Elvira inizia ancora prima dei tradimenti
di Giacomo, e che Elvira occasionalmente è gelosa non solo delle altre donne ma
anche delle amicizie maschili di Puccini.
Il Puccini di Marek è un uomo che ha dei problemi,
certamente con Elvira, ma anche con se stesso. Un uomo fondamentalmente
malinconico – da qualche parte Puccini scrive anche che gli piace essere
malinconico. Renato Simoni parlava di “mestizia toscana” che a me risulta
nuova, non so a voi, ma il termine rende perfettamente molti momenti cupi di
Puccini. Perennemente insoddisfatto dei suoi risultati, perché quello che
rimane scritto sulla carta è sempre un’ombra di quello che gli risuona dentro. “Un
artista mi sembra essere un uomo che guarda la bellezza attraverso un paio di
occhiali che, nel respirare, si appannano e velano la bellezza che sta
guardando. Prende il fazzoletto e pulisce gli occhiali. Vede chiaro di nuovo.
Ma al primo soffio la bellezza sparisce. E’ solo la velatura, l’approssimazione
che possiamo percepire”.
Nel soggiorno italiano Marek riesce a farsi dare, tramite un
avvocato, copia degli atti del processo a Elvira e fornisce un quadro sintetico
della vicenda. Ma, cosa più importante, è il primo a sollevare una questione:
come è possibile parlare di Puccini ignorando il caso Doria Manfredi? Non è una
questione stupida. Nei testi italiani del tempo Doria non esiste; Adami, nel
pubblicare una prima scelta dell’epistolario, è costretto a saltare a piè pari
gli anni 1909/10 per non dover ammettere che in casa Puccini oggettivamente c’è
stata un po’ di maretta. Le vestali pucciniane, abbiamo visto, desiderano che
la cosa non sia ricordata. Vi dirò: dalle voci che mi giungono, penso che in
casa Puccini questa faccenda non sia stata metabolizzata nemmeno al giorno
d’oggi.
All’epoca di Marek l’unico ad aver scritto di Doria
Manfredi, ed in inglese, è Vincent Seligman. Marek ritiene che sia
fondamentalmente disonesto per un biografo ignorare il caso Doria: disonesto
nei confronti del lettore, ma anche fuorviante: a seguito della morte di Doria
la vena creativa di Puccini sembra esaurirsi. A Marek sembra – siate onesti,
non ha tutti i torti – che Fanciulla del West e Rondine non abbiano lo stesso
altissimo livello di Bohéme, Tosca e Butterfly, e che Puccini impieghi dieci
anni buoni per uscire da questa crisi (a seconda dei gusti, riuscirà ad
eguagliare se stesso con Suor Angelica o meglio Turandot). E la colpa di tutto
questo sta nel trauma della morte di Doria e nella bruttissima piega che ha
preso la sua vita domestica.
Marek indirettamente risponde alle mie ammiratrici che in
questo giorno mi hanno chiesto più volte: perché fare del gossip su Puccini? A
noi interessa la sua musica. A parte il fatto che resistere alla tentazione di
raccontare una storia interessante mi è praticamente impossibile – a tutto
posso resistere tranne che alle tentazioni, scriveva Oscar Wilde – non posso
neanche fare a meno di chiedermi: ma tutto questo, poi, praticamente, si sente
nella musica di Puccini?
La mia risposta è differente da quella di Marek. La
regressione creativa dopo il 1910 è evidente ma non così grave come crede Marek
(nella mia opinione, il peggiore Puccini è sempre meglio del migliore
Mascagni). Contrariamente all’opinione di insigni commentatori, non credo di
ritrovare molto di biografico in Turandot. Sto tuttora chiedendomi come dovrei
leggere Butterfly alla luce della vicenda biografica, considerato che la
relazione con Cori si sovrappone esattamente alla scrittura di Butterfly. E
questo sarebbe il post più difficile, quello che non mi riesce di scrivere.
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