27/10/17

Puccini e Marek

Una storia pucciniana curiosa è quella di George Richard Marek (1902-1987).  Viennese di nascita, emigra con tutta la famiglia negli USA a 18 anni e diviene cittadino americano a 23. Pubblicitario e giornalista, diventa successivamente un funzionario della RCA. Nel primissimo dopoguerra gira l’Italia a caccia di souvenir musicali, in particolare pucciniani, in funzione di un libro che intende scrivere e che poi uscirà nel 1951. Racconta Marek di un terribile viaggio lungo la costa tirrenica, usando benzina comprata al mercato nero per mandare avanti un’auto che ogni pochi chilometri si guasta. Passando da Viareggio nota il cartello di Torre del Lago e gli prende l’estro di cercare la villa di Puccini. La trova semiabbandonata, il giardino incolto, nel salotto tre dita di polvere ma per il resto lasciato come se il maestro fosse partito il giorno prima. Qualche vandalo, probabilmente militari tedeschi, ha spezzato le vetrate della cappella che funge da mausoleo.
Arrivato fortunosamente a Milano va a ricercare nella biblioteca del conservatorio, ancora parzialmente danneggiato da un bombardamento, i compiti di composizione di Puccini con segnate le annotazioni del suo maestro Ponchielli. Raccoglie le confidenze delle due vestali che vegliano sulla memoria del maestro: Rita Dall’Anna, recente vedova di Antonio il figlio del maestro – a dire il vero non si sa nemmeno se l’abbia conosciuto, quando Puccini muore Rita ha venti anni; e Fosca Gemignani Leonardi, che si lascia volentieri chiamare Fosca Puccini, che almeno nella casa di Puccini è cresciuta. Le due donne non vanno sempre d’accordo – dietro di loro ci sono quasi due partiti di ritisti e foschisti – ma su una cosa tutti sono d’accordo, di non voler nemmeno sentir parlare del caso Doria Manfredi. Tutte i libri pubblicati in Italia non ne scrivono affatto, la raccolta di lettere pubblicata da Adami salta del tutto le annate 1909 e 1910 per non dover affrontare l’argomento.
Tornato a New York Marek si trova un giorno in una biblioteca ed osserva con i bibliotecari che nello schedario ci sono pochissimi libri su Puccini. Gli rispondono che in cantina ci sono quattro casse di roba su Puccini, non ancora inventariata. Marek va a vedere ed intuisce che cosa è successo – nessuno saprà mai spiegarglielo nei dettagli: dei soldati americani sono passati da Torre del Lago, hanno razziato un  la villa ed hanno portato via quattro casse di lettere personali del maestro. Non sapendo cosa farne, le hanno depositate alla biblioteca. Ed ecco lì circa seicento lettere in originale, e soprattutto senza alcuna supervisione dei parenti.

La biografia di Marek è largamente basata sulla lettura di queste lettere. Dato che i materiali poi sono stati restituiti alla famiglia – bisognerebbe dire purtroppo, che sarebbe stato meglio se li tenevano gli americani – in parte sono stati dispersi o rubati o sono inaccessibili, per alcune lettere ormai l’unica fonte disponibile sono le traduzioni che ne fece Marek. Siccome Marek cita letteralmente alcune lettere, ma ne conosce molte di più, per di più ottenute senza alcun filtro, bisogna leggere il suo libro anche tra le righe: lui sa molto di più di quello che scrive.

Davanti a Marek si squaderna improvvisamente la vita privata di Puccini. Solo Vincent Seligman in precedenza, attingendo alle lettere ricevute da sua madre, aveva realmente potuto osservare il Puccini privato (ed infatti Seligman era l’unico ad aver parlato di Doria in un libro). Ma le lettere alla Seligman iniziano relativamente tardi, nel 1905, Marek ha davanti a sé tutta la vita di Puccini scritta come su un quaderno. Ed inizia a decifrarla.

A Marek mancano alcune informazioni spicciole che oggi diamo per scontate. Per fortuna trova subito una lettera dove Puccini racconta la storia della sua famiglia e soprattutto presenta una lista delle sue debordanti sorelle; ma a Marek per esempio non sono chiari tutti i nipoti che pure tornano nella corrispondenza. Un altro punto importante che a Marek non è chiaro è che lui pensa che a Puccini si possono attribuire infedeltà occasionali che scatenano la gelosia di Elvira, ma non arriva a comprendere che almeno due di queste relazioni durano anni, Puccini ne è travolto non solo sessualmente ma anche sentimentalmente ed Elvira ha rischiato davvero di essere buttata fuori casa. Ma anche se mancano alcuni pezzi del puzzle, la ricostruzione che Marek opera della vita di Elvira insieme a Puccini è assolutamente la migliore mai messa su carta per conoscenza e profondità. Marek per esempio fa notare, con molta perspicacia, che la gelosia di Elvira inizia ancora prima dei tradimenti di Giacomo, e che Elvira occasionalmente è gelosa non solo delle altre donne ma anche delle amicizie maschili di Puccini.

Il Puccini di Marek è un uomo che ha dei problemi, certamente con Elvira, ma anche con se stesso. Un uomo fondamentalmente malinconico – da qualche parte Puccini scrive anche che gli piace essere malinconico. Renato Simoni parlava di “mestizia toscana” che a me risulta nuova, non so a voi, ma il termine rende perfettamente molti momenti cupi di Puccini. Perennemente insoddisfatto dei suoi risultati, perché quello che rimane scritto sulla carta è sempre un’ombra di quello che gli risuona dentro. “Un artista mi sembra essere un uomo che guarda la bellezza attraverso un paio di occhiali che, nel respirare, si appannano e velano la bellezza che sta guardando. Prende il fazzoletto e pulisce gli occhiali. Vede chiaro di nuovo. Ma al primo soffio la bellezza sparisce. E’ solo la velatura, l’approssimazione che possiamo percepire”.

Nel soggiorno italiano Marek riesce a farsi dare, tramite un avvocato, copia degli atti del processo a Elvira e fornisce un quadro sintetico della vicenda. Ma, cosa più importante, è il primo a sollevare una questione: come è possibile parlare di Puccini ignorando il caso Doria Manfredi? Non è una questione stupida. Nei testi italiani del tempo Doria non esiste; Adami, nel pubblicare una prima scelta dell’epistolario, è costretto a saltare a piè pari gli anni 1909/10 per non dover ammettere che in casa Puccini oggettivamente c’è stata un po’ di maretta. Le vestali pucciniane, abbiamo visto, desiderano che la cosa non sia ricordata. Vi dirò: dalle voci che mi giungono, penso che in casa Puccini questa faccenda non sia stata metabolizzata nemmeno al giorno d’oggi.

All’epoca di Marek l’unico ad aver scritto di Doria Manfredi, ed in inglese, è Vincent Seligman. Marek ritiene che sia fondamentalmente disonesto per un biografo ignorare il caso Doria: disonesto nei confronti del lettore, ma anche fuorviante: a seguito della morte di Doria la vena creativa di Puccini sembra esaurirsi. A Marek sembra – siate onesti, non ha tutti i torti – che Fanciulla del West e Rondine non abbiano lo stesso altissimo livello di Bohéme, Tosca e Butterfly, e che Puccini impieghi dieci anni buoni per uscire da questa crisi (a seconda dei gusti, riuscirà ad eguagliare se stesso con Suor Angelica o meglio Turandot). E la colpa di tutto questo sta nel trauma della morte di Doria e nella bruttissima piega che ha preso la sua vita domestica.

Marek indirettamente risponde alle mie ammiratrici che in questo giorno mi hanno chiesto più volte: perché fare del gossip su Puccini? A noi interessa la sua musica. A parte il fatto che resistere alla tentazione di raccontare una storia interessante mi è praticamente impossibile – a tutto posso resistere tranne che alle tentazioni, scriveva Oscar Wilde – non posso neanche fare a meno di chiedermi: ma tutto questo, poi, praticamente, si sente nella musica di Puccini?


La mia risposta è differente da quella di Marek. La regressione creativa dopo il 1910 è evidente ma non così grave come crede Marek (nella mia opinione, il peggiore Puccini è sempre meglio del migliore Mascagni). Contrariamente all’opinione di insigni commentatori, non credo di ritrovare molto di biografico in Turandot. Sto tuttora chiedendomi come dovrei leggere Butterfly alla luce della vicenda biografica, considerato che la relazione con Cori si sovrappone esattamente alla scrittura di Butterfly. E questo sarebbe il post più difficile, quello che non mi riesce di scrivere.

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