22/10/17

Parlando di Elvira

Una cosa che mi devo un po’ far perdonare è di aver dato dell’Elvira Puccini una immagine un tendenzialmente caricaturale. Può succedere, perché era talmente gelosa di Puccini (e non a torto) da scadere facilmente nel ridicolo.  Lo scrive chiaramente Vincent Seligman, figlio di Sybil, che da bambino era stato ospite in casa Puccini:

“Alcune delle manifestazioni [della gelosia di Elvira] non erano prive di aspetti grotteschi; per esempio aveva un enorme ombrello, degno di Sarah Gamp, con il quale era consueta minacciare tutte le cantanti carine che capitavano vicino al maestro – e che, all’occasione, non esitava ad applicare sulle parti più prominenti della loro anatomia; o anche le medicine anti-afrodisiache che, come molti anni più tardi confessò con immenso divertimento di lui,  aggiungeva al caffè del maestro tutte le volte che una donna anche moderatamente attraente era stata invitata a cena.”

(Sarah Gamp era un personaggio di Dickens, molto popolare nell’Inghilterra vittoriana: una anziana infermiera, spesso dedita alla bottiglia, inseparabile da un enorme ombrello. Per estensione, “Gamp” indica fino a fine ottocento un ombrello molto ampio.)

In realtà dovremmo correttamente considerare Elvira come la prima amante di Puccini. Elvira era una donna fortemente passionale; va sposa nel 1880 a neanche venti anni a Narciso Geminiani, un commerciante piuttosto agiato, e gli regala una figlia (Fosca) nata diciamo prematuramente, a sei settimane dal matrimonio. Si dice che Elvira venga mandata a lezione di pianoforte dal giovane Puccini, e che le lezioni siano talmente approfondite che ne rimanga incinta. Quando la “trippa” di lei (così scrive Puccini) non può essere più nascosta, scappa con lui portandosi dietro la figlia ma abbandonando un bambino poco più che neonato, rinunciando a una vita tranquilla da signora benestante per diventare la compagna irregolare di un artista squattrinato, bandita da Lucca dove non si può più far vedere, con un figlio illegittimo (Antonio detto Tonio, nato nel 1886) che scandalizza persino i parenti presso i quali spesso si deve rifugiare perché Puccini non ha sempre entrate tali da dare da mangiare a lei ed ai suoi figli. E non è possibile nemmeno regolarizzare la loro unione perché il divorzio non esiste e lei rimarrà sposata al Gemignani finchè morte non separi. Una scelta talmente irrazionale da dare una idea di quanto travolgente dovesse essere il loro legame. Sappiamo dei nomignoli erotici che si davano l’un l’altra, il fatto che l’attuale erede Simonetta Puccini abbia proibito, a distanza di 130 anni, la pubblicazione delle loro lettere di questo periodo qualche cosa deve significare.

Puccini raggiunge la sicurezza economica solo con il successo di Manon Lescaut, che è del 1893. Da allora la vita di famiglia si svolge tra due poli, prevalentemente a Torre del Lago ma anche in un appartamento in affitto a Milano, prima in via Solferino e poi a lato della Scala.
Puccini amava immensamente Torre del Lago, dove aveva amici simpatici, la possibilità di andare a caccia, pochi scocciatori, nessuna necessità di fare vita mondana, silenzio e spazio per scrivere musica anche e soprattutto di notte. Le due donne di casa, Elvira e Fosca, viceversa detestavano quel luogo davanti ad una palude che mancava di tutte le distrazioni della vita che si potevano facilmente trovare a Milano, e la consideravano poco più di una prigione – a maggior ragione, poi, la villetta che fu costruita a Chiatri che era ancora più isolata e dove non arrivava neanche la posta.

Da quando Puccini si stabilisce a Torre del Lago, la sua vita e quella di Elvira prendono due cammini divergenti. Con il passare del tempo lui diventa sempre più ricco, affascinante, elegante, raffinato, semplicemente: bello – dirà Alma Mahler, che in fatto di uomini aveva qualche cosa da raccontare, che Puccini era uno dei più belli che avesse veduto. Elvira viceversa si abbrutisce in una casa che odia, diventa trascurata nel vestire e sempre più brutta, indifferente alla musica e alla vita artistica di Puccini.

Un dettaglio non trascurabile è che tutto questo incomincia quando Puccini è più vicino ai quaranta anni che ai trenta. Puccini invidiò sempre a Mascagni di avere avuto successo e la possibilità di goderselo a soli ventisette anni. A lui il successo arrivò più tardi, quando i migliori anni della gioventù erano passati. Per bello ed elegante che apparisse, Puccini aveva il terrore di invecchiare – soprattutto, bisogna ammetterlo, il terrore di invecchiare da un punto di vista sessuale – fino a considerare, prima di scoprire la sua malattia finale, di sottoporsi alla cura Voronov contro l’invecchiamento che prevedeva l’impianto di testicoli di scimmia.

Abbiamo quindi nella villa di Torre del Lago una miscela potenzialmente esplosiva. E la prima esplosione abbiamo quando – siamo nel 1900 - Puccini perde la testa per la Cori, la sartina piemontese minorenne. Ammetto una seconda volta che nel raccontare la storia forse ho esagerato nel metterne in evidenza gli aspetti farseschi, e probabilmente non sono riuscito a far capire come dietro a questa figliola così generosa nel concedersi, Puccini abbia letteralmente perso la testa. Quella che doveva essere una bella trombata con una ragazzetta per dimostrare a sé ed agli amici che la virilità di un tempo non era svanita, diventa nel corso di tre anni una crisi esistenziale, poi una crisi familiare e alla fine una crisi al vertice nel mondo della musica. Per conto mio, se dopo soli sei mesi Puccini si porta la piemontese a dare una occhiata alla villa di Torre del Lago dall’interno mentre Elvira non c’è, è perché accarezza il progetto di liquidare Elvira magari con un buon assegno, e di ricominciare a godersi la vita con una nuova compagna, giovane e piacevole. Il paradosso è che Puccini la Cori potrebbe anche sposarla – magari aspettando qualche anno, che quando lei visita la casa ha 17 anni – ma l’Elvira non la può sposare neanche volendo perché è ancora maritata al Gemignani. – Quando l’Elvira viene a sapere dell’amante, inizia la prima grave crisi familiare. Elvira è estremamente aggressiva, fino ad arrivare appunto alle ombrellate, perché sente il terreno che le frana sotto i piedi. Lei ha abbandonato un tranquillo matrimonio borghese per una avventura romantica che poi ha avuto più disagi che momenti belli, ora che una forma di stabilità è stata raggiunta compare questa ragazzetta ed Elvira rischia di finire sulla strada, con due figli di cui uno illegittimo e nessuna garanzia per il futuro. Anche una donna meno temperamentale dell’Elvira avrebbe fatto fuoco e fiamme nella medesima situazione.

La crisi si estende al business della musica e lo vediamo nella corrispondenza fra Illica e Giulio Ricordi. Puccini è il principale asset di casa Ricordi, il compositore che con i successi di Manon, Bohéme e Tosca porta a casa il lesso per tutti, il successore di Giuseppe Verdi, ed il compositore che porta il buon nome dell’Italia del mondo. E per colpa di questa puttana (per la precisione:  Giulio scrive “bassa creatura dagli istinti puttanieri”) si rischia non solo che Butterfly non arrivi al termine, ma che Puccini si riduca in tale stato di rimbambimento da non lavorare mai più – ammesso che lei non gli attacchi anche la sifilide.

Come abbiamo visto, gli eventi dell’anno 1903 – l’incidente di auto e la morte di Gemignani che lascia libera Elvira di risposarsi a partire dal 1904 – danno un taglio violento alla relazione, Puccini è costretto al matrimonio con Elvira ma a questo punto la loro relazione, pure stabilizzata dal punto di vista legale, è seriamente danneggiata.

La crisi successiva è con la vicenda di Doria Manfredi, una domestica in casa Puccini. Siamo a fine 1908. Elvira si convince – o più probabilmente qualcuno, si sospetta Fosca, le mette in testa che Puccini abbia una tresca con la servetta. La ragazza viene licenziata, grandi litigi in famiglia, poi di nuovo riassunta, poi cacciata ancora via. Elvira non si contenta di togliersela di casa, ma la vuole distruggere completamente. Stalking in concentrazione distillata. Elvira va dal prete di Torre del Lago e dalla madre di lei per esigere che Doria sia cacciata dal paese. Quando la incontra per strada la insulta pesantemente (i testimoni ripeteranno al processo le litanie di Elvira: troia, puttana, schifa, sei la ganza di mio marito, ti affogo nel lago). La coppia esplode: Puccini il 22 gennaio 1909 scappa a Roma con la scusa delle prove di Tosca, Elvira va a Milano. Il 23 Doria si avvelena e muore di morte lenta e straziante il 29. Come da sua richiesta, viene effettuata una autopsia e trovata vergine: le accuse di Elvira erano infondate.

Come il cardiologo ricava le informazioni più rilevanti per la salute quando il cuore è sottoposto ad una prova sotto stress, così possiamo studiare il matrimonio fra Elvira e Puccini principalmente nei momenti in cui è alla prova degli eventi e rischia di andare in frantumi. Questa volta il motivo è oggettivamente giustificato: la gelosia di Elvira ha richiesto un sacrificio umano. Elvira scrive a Puccini una lettera durissima, ancora urtante oggi da leggere, addirittura terrificante se se ne guarda la scrittura rabbiosa sul facsimile pubblicato da Marchetti. Inizia rivangando l’affare con la piemontese (e involontariamente ci fornisce informazioni sul ricatto legale a cui fu sottoposto Puccini), poi accusa Puccini di avere distrutto la famiglia con il suo egoismo, di averla offesa nel suo affetto di moglie ed amante appassionata, e gli predice che morirà solo e abbandonato da tutti (si dice che Puccini, ogni volta che rileggeva questa lettera, si grattasse i gioielli). Però, nonostante la prova schiacciante dell’autopsia, non accetta di ammettere la sua colpa: per Elvira Doria aveva una tresca con Puccini, non cambia la sua versione.

Puccini si rivolge all’avvocato Nasi di Torino, che è non solo il suo legale ma anche amico e occasionale compagno di zingarate; ed è quello che ha condotto le trattative per disinnescare il ricatto della piemontese. Nasi gli consiglia di separarsi da Elvira, sia per tutelare il suo nome coinvolto in uno scandalo, sia per tutelare la sua stessa salute. Non esiste il divorzio e quindi il matrimonio non può essere cancellato, tuttavia la convivenza è impossibile e sconsigliabile. Nasi stende addirittura un atto di separazione che precisa le condizioni economiche, da far registrare davanti al pretore, atto che finì in un cassetto e mai messo in pratica. Illica, che pure avrebbe avuto diritto ad un po’ di risentimento perché dopo la morte di Giacosa Puccini gli aveva preferito altri librettisti (fra l’altro principianti come Zangarini e Civinini, e quest’ultimo aveva anche messo la discordia in casa Puccini), gli dà un altro consiglio: prendi il primo piroscafo da Genova per l’America, dichiara che vai a documentarti in loco per la Fanciulla del West, e sparisci.

Puccini non ascolta né Nasi né Illica. Lentamente cerca la riconciliazione con Elvira, la salva dall’onta del carcere pagando una cifra esorbitante ai parenti di Doria (che i parenti accettano non prima comunque che Elvira venga condannata in primo grado, onde la reputazione di Doria fosse chiarita in via legale). Dopo alcuni mesi la coabitazione riprende, e per un po’ l’Elvira è costretta a darsi una regolata.

La terza volta che il matrimonio rischia di saltare è all’epoca della relazione di Puccini con la von Stengel. Sappiamo, perché lo scrive lei, che anche in questo caso lui se la porta in casa di nascosto dove la von Stengel assume le funzioni di Elvira – apparecchiare la tavola, stare in salotto ad ascoltare il grammofono – e anche presumibilmente le funzioni che Elvira lamentava di non svolgere più. Puccini acquista di nascosto un appezzamento di terreno per costruire una “villina” alla von Stengel, con un prestito in nero di Ricordi che non deve figurare nella contabilità che veniva controllata da moglie e figlio. La guerra fa saltare tutti progetti di convivenza. Puccini continua a vedere la von Stengel in Svizzera, Elvira non è cretina, capisce e se ne lamenta. Puccini le risponde con una lettera atroce ma sincera, che lui deve essere lasciato libero di coltivare le sue relazioni, che la famiglia che è una cosa seria non la ha mai messa in pericolo, e che in quel momento la von Stengel (“quella persona”) non è con lui. La terza cosa non è vera, la seconda neanche.

Puccini ed Elvira escono dagli anni di guerra abbastanza spompati. Personalmente penso che la relazione con la Ader sia stata più una forma di intrattenimento, con un coinvolgimento fisico ed emotivo molto minore rispetto a Cori e Josephine. Negli ultimi due anni Puccini ed Elvira sono due vecchi che hanno diviso una vita insieme, non hanno forse molto da dirsi, hanno molto da perdonarsi. Non dico che torni la tenerezza ma almeno sembrano tranquilli. Uno degli ultimi pensieri di Puccini, forse l’ultimo, scritto su un biglietto perché non poteva più parlare, è dal letto della clinica di Bruxelles ed è per Elvira: “Elvira povera donna finita”.

Carner ha inaugurato una lettura psicoanalitica della figura di Elvira, per cui la vede come ispiratrice di due personaggi di donne feroci ed implacabili come la Zia principessa di Suor Angelica e Turandot. Recentemente qualcun altro (non ricordo chi) ha suggerito in realtà che Elvira sia l’ispiratrice di tutti i personaggi femminili di Puccini, che per un verso o per un altro ne riprendono un aspetto del carattere. Mi sembrano esagerazioni. Il problema di Elvira è proprio che, a partire da una certa età, non ispirava proprio niente a Puccini. Anzi, sopportava malvolentieri la musica incluso quella di suo marito. E non aveva certo un carattere multiforme che si potesse perdere in mille sfaccettature, piuttosto era il gendarme di casa. Puccini l’aveva soprannominata “il mio poliziotto” perché Elvira era perfettamente in grado di condurre una indagine, se necessario assoldando spie ed informatori; era capace di condurre perquisizioni (un biglietto della Cavalieri fu trovato nel nastro interno del cappello a cilindro di lui, dopo avere ispezionato inutilmente tasche, fodere e persino la risvolta dei pantaloni); o anche di condurre appostamenti, come quella volta che Puccini se la ritrovò la sera in giardino vestita da uomo per vedere se per caso arrivava qualche ganza.  Alla fine sono convinto che il gioco reciproco di gelosie e tradimenti fosse diventato una forma di sport per tutti e due, come per vedere chi fosse stato capace di sopravanzare l’altro in una gara all’ultimo stratagemma. – Ma con Elvira non si poteva discutere né di musica né di possibili soggetti di opera (per questo ci fu la provvidenziale Sybil Seligman); lei si lamentava che lui non la voleva dietro nei suoi viaggi, il che è vero, ma è anche vero che quando lo seguiva diventava oggettivamente un peso morto e spesso lei finiva con il chiudersi in albergo nel torpore.

Se parliamo di ispirazione, più che alle nostre impressioni io ascolterei la voce di Puccini. E  i documenti ci danno delle risposte sorprendenti. Certamente Cori è stata una fonte di ispirazione – potrei forse tornarci sopra in un post separato. E, leggiamo in una lettera a Giulio Ricordi tuttora inedita, esiste una donna reale che Puccini vedeva simile a Minnie della Fanciulla del West. Di tutte, la più improbabile: Doria Manfredi.


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