20/10/17

La Rondine

Visto che la stiamo facendo a Firenze, in diversi mi hanno chiesto un giudizio su “La Rondine”. E già è sospetto che mi si chieda un giudizio, nessuno mi ha mai chiesto un giudizio su “La Bohéme”.

A parte le due opere giovanili, che sarebbe ingeneroso paragonare alle opere mature, Rondine è quella che ha avuto meno fortuna ed anche la meno riuscita. E’ un’opera nata storta e, con tutto lo sforzo di Puccini, non è riuscito a raddrizzarla strada facendo. Lui che su certi soggetti ci rimase a pensare per anni senza farne nulla, accettò un contratto a scatola chiusa con due impresari viennesi solo perché attratto dal compenso e per vendicarsi dei dispetti di Tito Ricordi che cercava di fargli un po’ le scarpe per favorire Zandonai. Arrivato da Vienna il canovaccio che Adami avrebbe dovuto sviluppare come operetta, si rivelò soggetto assai esile anche per un’operetta e dovette essere adattato infinite volte. Ringraziamo Puccini e Adami per averne comunque cavato qualcosa – Adami disse di aver scritto l’equivalente in versi di sedici atti per metterne insieme tre che passassero il vaglio di Puccini.

Penso anche che la vicenda ci sia incomprensibile perché abbiamo perso il senso dell’ambiente nel quale si svolge. L’ambientazione non è casuale: la Parigi del secondo impero, che era una città dalla vitalità inarrestabile, fra le cui stelle erano le mantenute della classe dirigente (“Les grandes horizontales”, le chiama Virginia Rounding nella sua monografia che è un libro interessantissimo). Le mantenute erano il cosiddetto “demi-monde”, termine inventato da Dumas figlio, un mondo lussuoso ma non rispettabile e parallelo a quello della buona società. Il modello di Magda potrebbe essere per esempio Apollonie Sabatier detta “La Présidente”. Mantenuta per quattordici anni da un importante industriale belga, era una donna colta e intelligente, non priva di una certa saggezza e maestra dell’understatement, amante delle arti e acquerellista essa stessa. Alle sue cene informali la domenica alle sei (come la cena in casa di Magda nel I atto della Rondine) partecipavano le migliori teste di Francia: Flaubert, Téophile Gautier, Berlioz, de Musset, Manet. A lei dedicò poesie di amore perduto Baudelaire, la statua di lei in preda ad una fitta di orgasmo scolpita da Clésinger si trova ora al museo d’Orsay. – Statua ricavata da un calco in gesso al naturale, sottile maniera del suo amante di esibirla a tutto il mondo. - A una di queste cene fu visto arrivare Gautier vestito in pelliccia, perché era di ritorno dalla Russia e dalla stazione era andato direttamente a casa della Sabatier senza passare neanche da casa sua. Il punto della vicenda di Rondine é: queste fanciulle del secondo impero, da una parte perdute e da quell’altra donne indipendenti, ricche e intelligenti più delle dame della migliore aristocrazia, potevano essere le amanti degli uomini facoltosi, ma una volta entrate nel circolo del demi-monde non ne potevano più uscire. Quelle che riuscirono a farsi sposare e a tornare nei ruoli delle donne per bene, per esempio la Péllissier che sposò Rossini, si possono contare sulle dita.

Non è questione che il regista sposti o meno l’ambientazione dello spettacolo: semplicemente noi non percepiamo più questo retroterra e la vicenda ci diventa incomprensibile a livello istintivo. Va bene, lei è una donna perduta, ma perché fare tante storie? Dopo tutto Ruggero la perdona, no? – E invece no. Puttana una volta, puttana per sempre. Non perché lo dica Ruggero ma perché questo sarebbe il giudizio sociale universale: davvero Ruggero sarebbe rovinato se la sposasse, scenderebbe l’infamia sulla onesta casa dei suoi vecchi. Curiosamente Piave nella Traviata – un’altra mantenuta come la Sabatier, solo vissuta quindici anni prima – riesce a trasmettere l’essenza di questo dramma. Adami e Puccini lo danno per scontato e noi non riusciamo più a capire l’opera. Capirla sotto la pelle, intendo - parteciparla. Non è il caso che il momento del finale dove lei tenta di spiegare questa cosa sia il più infelice ed inefficace, sia nell’aspetto dei versi che nella musica.

Dopo di che, la meno riuscita delle opere di Puccini è sempre meglio delle migliori di Alfano o Zandonai che erano il motivo di contendere con Tito Ricordi. A me la Rondine non dispiace di sentirla; anzi, io non mi stanco mai di sentire Puccini, Rondine inclusa. Se ve la facessero sentire senza dire di chi è, potreste pensare che un buon 70% della musica avrebbe potuto scriverla, uguale uguale, Ravel. Non per nulla Ravel raccomandava ai suoi allievi di studiare Puccini. Nella Rondine, una partitura imbottita di valzer francesi, c’è un unico valzer viennese, dieci minuti dopo l’inizio del secondo atto. Un valzer con una semifrase che si scheggia in quinte acute taglienti, come un bicchiere di cristallo che vada in cocci. Puccini scrive mentre la Vienna che aveva gli commissionato si è infilata nell’avventura della guerra mondiale, l’era dorata dell’impero si sta sgretolando dall’interno. Lo stesso messaggio de La Valse di Ravel; credevo fossero contemporanee, sono andato a controllare e La Valse è stata scritta pochi anni dopo La Rondine. Puccini c’era arrivato prima ancora che la guerra finisse.

Abbiamo imparato dai tre grandi libretti di Illica e Giacosa che il valore di un libretto dipende sia dalla sceneggiatura – la sequenza della vicenda nelle sue sfumature – che dalla verseggiatura vera e propria. La sceneggiatura di Rondine non è felice e probabilmente Adami aveva troppi vincoli per poterla cambiare. Ma nemmeno la verseggiatura è un gran che, e questa è tutta responsabilità sua: nell’accordo originale con i viennesi, loro avrebbero scritto la sceneggiatura, Adami l’avrebbe verseggiata e loro l’avrebbero ritradotta in tedesco. Alla fine La Rondine da operetta è diventata opera ed il lavoro l’ha fatto tutto Adami. Nei momenti in cui Adami azzecca dei bei versi (per esempio, quando i due innamorati scrivono il loro nome sul marmo del tavolo e lei commenta “Qualche cosa di noi che resta qua”) anche Puccini trova immediamente l’accento poetico. Ma a Adami manca la grande poesia di Giacosa, centra il bersaglio solo occasionalmente e anche l’ispirazione di Puccini ne rimane diminuita. Ad essere spettacolari, nel testo di Adami, sono le didascalie, a cominciare da quella di Magda abbattuta, sfibrata, lasciata sola su una sedia:

“…ora la sala è deserta. Nel giardino si sono spente le luci. I primi chiarori freddi dell’alba non illuminano che tavoli in disordine, fiori sparsi e sfogliati per terra, bicchieri rovesciati. Tutta l’infinita tristezza di una festa passata è in queste prime luci mattutine…”

Si rimpiange quasi che Puccini non abbia fatto come Strauss, che nel Rosenkavalier per sbaglio mise in musica anche un paio di didascalie.

C’è poi la questione delle diverse versioni del finale. Che il finale fosse insoddisfacente lo percepiva anche Puccini. Nella prima versione (Montecarlo 1917), che è quella che stiamo facendo a Firenze, il tenore Ruggero è un personaggio di eccezionale piattezza psicologica. Un vero e proprio salame; si potrebbe persino pensare, ironicamente, che Magda lo abbandoni non per tutelare l’onorabilità della sua famiglia, ma perché terrorizzata dalla prospettiva di una vita in campagna con una suocera lacrimogena in casa, allevando una nidiata di bambini e andando a letto con le galline tutte la sere. - Da Vienna fecero notare a Puccini che nessun uomo nella realtà si comporterebbe come Ruggero, a maggior ragione un personaggio che dal palcoscenico dovrebbe destare l’interesse del pubblico. Per cui, seconda versione (a Palermo in italiano e a Vienna in tedesco), fu escogitato un finale diverso: Lisette e Prunier vengono a riprendersi Magda che scrive una lettera d’addio, la lascia sul tavolo e se ne va. Il tentativo di fare una storia differente utilizzando al massimo la musica già scritta per altre parole e situazioni non ebbe successo e Puccini scrisse ancora un terzo finale: prima Rambaldo viene a cercare espicitamente di riprendersi Magda, poi a Ruggero arriva una lettera anonima che gli apre gli occhi e caccia via Magda. Sarebbe questa la versione definitiva di Puccini? Può darsi, se non fosse che questa terza versione di fatto non fu mai rappresentata né vivente Puccini né prima della seconda guerra mondiale; e nella guerra la musica dell’orchestra andò distrutta in un bombardamento. Si è salvato solo lo spartito per pianoforte, del quale fu tirato un numero limitatissimo di copie; oggi questa versione può essere solo ricostruita (a Torino hanno fatto orchestrare le pagine mancanti a Lorenzo Ferrero) ma in originale è persa per sempre. Per cui di solito si fa la prima versione di Montecarlo nella quale il tenore è un salame ma almeno il soprano ha una sua completezza musicale e psicologica.


Sull’autografo di Rondine c’è un piccolo giallo: che fine ha fatto? Tutti gli autografi di Puccini sono rimasti nelle cassaforti di Ricordi (oggi sono alla biblioteca di Brera che li conserva per conto di Ricordi). Ricordi però non volle pubblicare la Rondine che poi fu presa da Sonzogno. La versione ufficiale è che l’autografo sia andato distrutto nel bombardamento della sede della Sonzogno di cui sopra; ma non tutti ci credono. La prima italiana de La Rondine fu a Bologna nel 1917. Dopo la recita, Puccini donò come ricordo otto pagine dell’autografo alla biblioteca del locale Liceo Musicale; il che vuol dire che l’autografo era rimasto nella sue disponibilità e non era da Sonzogno. Per cui si ipotizza che, privato delle otto pagine e magari di qualche altra pagina regalata, l’autografo sia ancora nascosto negli archivi della famiglia.

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