13/10/17

Filologia pucciniana n.3 - Giovani a gloria

Filologia pucciniana 3 – A Gloria

Nell’agosto 1912 Puccini si reca a Bayreuth, prende alloggio all’Hotel Goldener Anker, e assiste alla recita di Parsifal del giorno 8. Per moglie parenti e amici sta viaggiando da solo, nella realtà è accompagnato dalla sua amante tedesca, la baronessa Josephine von Stengel (1886-1926). Lui ha quasi 54 anni, lei 26.

Alla portineria dell’albergo non occorre presentare il passaporto, quindi Puccini può lasciare un nome di comodo. Secondo una tradizione risalente a Marotti e Pagni, si presenta come Archimede Rossi, accompagnato dalla sua nipotina (Monicelli avrebbe detto “nipotina da parte di fava”). Secondo un’altra tradizione risalente a D’Ambra, lo pseudonimo fu Aristide Granchi.

Questa divergenza nelle fonti fa impazzire gli studiosi più seri, per cui il prof. Schickling per il suo articolo del 1999 sulla Stengel andò a consultare le “Fremdenlisten”, le liste degli ospiti stranieri del Goldener Anker che, attestando le presenze da tutto il mondo ad ogni festival, sono conservate religiosamente nel museo a Villa Wahnfried. Naturalmente non c’è da aspettarsi che un portiere d’albergo bavarese azzecchi sempre la grafia di un nome straniero ed in effetti  si trovano spesso svarioni. Nella lista del 9 agosto ci sono tre nomi italiani:

Grase, avocatto, Turin
Cracotti, avocatto, Turin
Giovani, Agloria, Turin

Quindi non sapremo mai quale fosse il vero pseudonimo di Puccini. Grase forse potrebbe essere Grassi. Ma i toscani che usano l’espressione “a gloria” capiscono immediatamente che “giovani a gloria” è la von Stengel e che questa espressione in mezzo alla Baviera più profonda non può venire che dalla testa di Puccini. Anzi si vede quasi davanti agli occhi Puccini che fa quella che Monicelli avrebbe chiamato “la supercazzola” al portiere.

La traduzione di questo aneddoto ha messo in difficoltà gli studiosi stranieri, che magari hanno chiesto il parere di qualche italiano – ma sospetto che per capire “a gloria” serva un toscano. Nella mia famiglia si è sempre usato “a gloria” per dire – finalmente. “Tu se’ arrivato, a gloria”, vuol dire che ti sei fatto attendere e da ultimo sei giunto. “Ti s’è aspettato a gloria”, vuol dire che non arrivavi mai.

Penso che la locuzione derivi dal versetto “Gloria Patri” che si aggiungeva, quando si cantava il gregoriano, in coda ai salmi ed al magnificat. Arrivare a gloria voleva dire arrivare quando tutto era quasi finito. Per cui la locuzione sarebbe parente di “alla fine dei salmi”.

 “Giovane a gloria” per me vorrebbe dire “finalmente una giovane!” e io interpreto così la volontà di Puccini, al netto degli errori del portiere. Volendo prenderla letteralmente, vorrebbe dire “finalmente dei giovani!”

Ma vorrei sentire il parere degli amici toscani sul corretto uso del modo di dire.


(All’intervallo del Parsifal, Puccini fu scorto in platea da tale Placci, italiano e wagneriano accanito, che avvertì la Cosima Wagner; e la Cosima disse di invitare il maestro nel suo palco. Placci andò da Puccini che finse di non essere Puccini per un po’, poi gli disse chiaramente che aveva dietro una donna in incognito e non poteva rischiare di finire sul giornale. Per cui Placci fu costretto a tornare da Cosima Wagner a dire che in platea non c’era Puccini ma uno che gli assomigliava, tale Archimede Rossi, etc.)

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