Dopo
cinque giorni di agonia, il 28 gennaio 1909 muore Doria Manfredi ex domestica
di casa Puccini che si era avvelenata il 23. A volte si riporta la data del 29
che fu erroneamente indicata sulla lapide di lei.
A
differenza di quello che si legge nei libri, non mi sembra che l’episodio
creasse un grande scandalo sulla stampa. Qualche articolo quando avvenne il
fatto e qualche articolo sei mesi più tardi in occasione del processo ad
Elvira. Se lo scandalo fu grande fra la gente di Torre del Lago, mi sembra di
cogliere che i giornali che riportarono la notizia lo fecero sempre in tono
tale da proteggere la figura di Puccini. Ho provato a leggere un po’ di
giornali del 1909, che fra l’altro sono molto più piacevoli dei quotidiani di
oggi; le questioni che imperversavano erano i postumi del terremoto di Messina
(28 dicembre) con le diverse città d’Italia che facevano a gara per accogliere
i profughi, o anche il rifiuto del governo austriaco ad autorizzare una
università italiana a Trieste. Le non molte citazioni del caso Doria sono
equilibrate da altrettanti tentativi di riportare l’attenzione dell’opinione
pubblica sulla scrittura de “La Fanciulla del West” piuttosto che sui casi
familiari del maestro.
Quello
che è interessante è come i biografi di Puccini hanno riportato il caso Doria
Manfredi. Esiste una immagine ufficiale
di Puccini che è quella tramandata dalla pubblicistica ufficiale sotto l’egida
di Ricordi (Paladini e Adami, ma anche l’epistolario di Gara); immagine che poi
è quella che era più gradita alla famiglia per ovvi motivi. In questa immagine
la vita privata di Puccini non esiste, o al massimo è ridotta a qualche
simpatico ed innocuo episodio. Nelle biografie ufficiali e in tutto quello che
è stato pubblicato sotto l’egida della Ricordi, Doria Manfredi non è mai
esistita. L’epistolario di Adami del 1928 salta gli anni 1908-09. La raccolta
di lettere ben più ampia e comprensiva di Gara, che pure fu pubblicata nel
1958, cataloga il caso Doria, della quale non si fa nome né si racconta la
vicenda, sotto generici “dissapori familiari”. Negli anni trenta - quindi a
breve termine dalla scomparsa di Puccini - l’unico che parla della morte di Doria
Manfredi è Vincent Seligman nel suo libro, che però in Italia non fu mai né
tradotto né pubblicato; non solo Vincent aveva personalmente conosciuto Doria
in occasione delle visite alla famiglia Puccini, ma aveva in mano lettere di
Puccini a sua madre Sybil Seligman molto esplicite e tali da capire
perfettamente che cosa fosse successo. Nel pubblicarle (1938) scelse di
tutelare in parte la figura di Elvira, anche lei recentemente scomparsa e
soprattutto la figura di Fosca che era viva e vegeta, tagliando la maggior
parte dei riferimenti. Solo recentemente si sono avuti i testi integrali di
alcune lettere di Puccini alla Seligman che Vincent aveva sforbiciato, dalle
quali risulta chiaro il ruolo di Fosca nel montare la fatale gelosia di Elvira
contro la serva. A parte l’accertamento della causa ultima, Seligman racconta
la storia di Doria con le parole di Puccini medesimo e con sostanziale fedeltà
ai fatti. Ma negli anni trenta fu l’unico.
Di
Doria nessuno parla più fino al 1951, quando esce nei paesi anglosassoni la
biografia di Marek. Questi aveva chiaramente capito che la famiglia (nelle
persone di Fosca Gemignani e Rita dell’Anna, vedova di Antonio Puccini) aveva
un interesse nel tacere la vicenda, e più che per tutelare la memoria del
maestro per nascondere i ruoli ambigui dei suoi familiari, ma si documenta
andando a ricercare gli atti del processo ad Elvira, che presenta in forma
estesa. E soprattutto Marek afferma la volontà di ricostruire la figura di
Puccini a tutto tondo, non nella forma artefatta delle biografie ufficiali e
dei ricordi di famiglia che sono stati deliberatamente alterati.
Non
sono riuscito a determinare quale sia il primo testo in italiano a nominare
Doria Manfredi. Secondo me è il libro di Sartori che uscì nella prima edizione
nel 1958. Non che ne tratti diffusamente, una mezza paginetta, ma credo sia il
primo a farlo in italiano. Sono stati necessari cinquanta anni dal fatto e
trentaquattro dalla morte del maestro per vedere il tabù cadere. Nello stesso
anno esce a Londra la biografia di Carner, tuttora una delle più valide, che
però verrà tradotta in italiano solo nel 1961, e da allora l’episodio di Doria
Manfredi viene considerato integrale alle biografie di Puccini. Mi risulta
peraltro che lo scarso gradimento della famiglia nei confronti di chi si occupa
di Doria sia arrivato fino alla recentemente scomparsa Simonetta Puccini.
Una
domanda che mi viene rivolta spesso è: come andò realmente fra Puccini e Doria?
Difficile da dire: la Doriologia è uno studio boicottato, i protagonisti stessi
hanno occultato i documenti, e molto spesso ci si basa su chiacchere di paese
riferite a distanza di decenni dalla loro origine. Forse solo negli anni a
venire si potrà fare un po’ di chiarezza.
Come
è noto, Doria nel morire chiese essa stessa di essere sottoposta ad esame
medico; il medico condotto dott. Giacchi, che l’aveva curata, ne attestò lo
stato di verginità. Dato che il Giacchi e Puccini erano molto familiari, il
Giacchi era stato addirittura testimone nel matrimonio quasi segreto fra
Puccini e Elvira del 1904, qualcuno ha ipotizzato che il responso medico sia
stato addomesticato per scagionare Puccini addossando tutte le colpe ad Elvira.
Anche se la cosa non si può escludere del tutto, io non mi sento di sposare
questa tesi. Il Giacchi fu chiamato ad esprimersi in via ufficiale come
testimone nell’istruttoria del processo, e bisognerebbe presupporre non un
semplice addomesticamento ma addirittura una falsa testimonianza giudiziale. E
come il Giacchi era familiare con Puccini, altrettanto lo era con Elvira. (Si
narra che una volta l’Elvira pigliasse la fissazione di far tagliare i capelli
ad una bambina che giocava insieme alle sue nipotine figlie di Fosca, adducendo
motivi di salute. La madre della bimba andò a chiedere al dottor Giacchi se era
davvero necessario tagliare i capelli della bambina, e il Giacchi rispose che
l’unica cosa da tagliare sarebbe stata la lingua dell’Elvira.)
Dato
però che fra un amore con consumazione di rapporti sessuali e l’assoluta
indifferenza ci sono molti stadi intermedi, io personalmente ho motivo di
credere che almeno in un certo stadio Puccini si fosse effettivamente invaghito
della Doria – invaghito alla sua maniera, cioè con una importante sfumatura di
rincoglionimento amoroso - e che l’Elvira se ne sia accorta. Questo non vuol
dire che la Doria corrispondesse al sentimento del suo padrone, probabilmente
no, di certo non apertamente; ma il suo allontanamento dalla casa sarebbe stato
comunque necessario, se non per colpa di lei per debolezza di lui. Il guaio è
che Elvira non si accontentò di far uscire di casa, a torto od a ragione, la
causa della disputa; pretese il completo annientamento della ragazza e questo
semplicemente non poteva essere. Si può intuire che le discussioni fra Puccini
ed Elvira in merito a Doria siano arrivate fino allo scontro fisico; il
Marchetti trovò a casa di Ramelde Puccini un frammento di scritto dove Elvira
lamenta che Puccini arrivò a darle un pugno. Per motivi che mi rimangono
misteriosi Marchetti attribuisce questo frammento al caso Cori, quando è
evidente che si riferisce al caso Doria perché vi si cita “una servaccia”. Per
cui, anche se sarei tentato di definire come inescusabile il comportamento di
Puccini che fugge a Roma abbandonando il campo, e di fatto abbandonando Doria
alle fauci di Elvira nei tre ultimi giorni prima del suicidio, tuttavia non
posso neanche fare a meno di pensare che Puccini le abbia tentate di tutte per
dominare la rabbia di Elvira e che alla fine abbia gettato la spugna per manifesta
impossibilità.
Secondo
il Marek, che poi è l’unico autore che per una circostanza irripetibile ha
potuto esaminare una abbondante parte della corrispondenza fra Elvira e
Puccini, la gelosia di Elvira e la paura di essere abbandonata si manifestano
già dal 1891, in pratica da cinque/sei anni dall’inizio della loro
relazione, quando ancora Puccini non era
un autore di successo e i dubbi sostanzialmente ingiustificati. A Marek sembra
di vedere un certo raffreddamento fra Puccini ed Elvira prima del 1900, segue
poi la vicenda di Cori che dura quattro anni. Elvira ne esce trionfatrice, che
l’odiata rivale è costretta a sparire ingloriosamente e Puccini a regolarizzare
la sua unione con lei. Ancorchè finalmente coronato dal matrimonio, il loro
rapporto però ne esce a pezzi, fra di loro non c’è più alcuna fiducia; come
completamente a pezzi ne esce Puccini. Complice anche la morte di Giacosa che
spezza il dream team che ci aveva dato Bohéme, Tosca e Butterfly, Puccini dal
1904 non ha più voglia di scrivere musica né riesce a trovare un soggetto che
lo soddisfi, tanto che dal 1904 al 1907 incluso la sua attività di compositore
è praticamente nulla. Quando finalmente riesce a concentrarsi su La Fanciulla
del West, la storia di Doria cade come una mazzata su di lui, costringendolo ad
abbandonare il lavoro per quasi un anno. Con dei riflessi amari, come quando in
una lettera a lungo censurata alla Seligman, confessa il peso di dover lavorare
su un libretto scritto da un assassino, perché attribuisce a Civinini librettista
di Fanciulla un ruolo nella tragica fine di Doria.
Non
so se sia più grave la crisi Cori o la crisi Doria. Se la seconda ha fatto una
vittima, la prima probabilmente ne è stata il necessario presupposto – senza lo
stress indotto in Elvira dalla presenza dell’amante piemontese, probabilmente
il loro rapporto non sarebbe degenerato tanto profondamente. Per Puccini la
morte di Doria fu un trauma durissimo. In più di una lettera Puccini accenna
alla possibilità dei suicidio, anche se per crederci occorre un atto di fiducia
da parte del lettore. L’atteggiamento di Elvira, che mai ammise di aver avuto
torto, certo non aiutava; forse solo la concreta paura di finire davvero in
galera la indusse a ragionare un poco. La sentenza di primo grado che la condannava
a cinque mesi di reclusione e a una forte multa, oltre a rinviare a successivo
procedimento per determinare l’indennizzo ai parenti della vittima, escludeva
espressamente la condizionale per rimarcare il disastro di una linea difensiva
che non ammetteva colpe a fronte di testimonianze schiaccianti. Elvira non si
presentò al processo lasciando che fossero gli avvocati a difenderla, e forse
fu meglio così, che se i giudici l’avessero sentita dal vivo l’avrebbero
trattata anche peggio. Ma Elvira non fece un giorno di galera; dopo la prima
sentenza, riconosciuta ufficialmente l’innocenza di Doria e la persecuzione di
cui era stata vittima, i parenti si accontentarono di un risarcimento e
ritirarono la querela. Come osserva acutamente Seligman figlio, dopo tutto
quello che era successo e con parenti, amici, avvocati e Ricordi che premevano
per la liquidazione definitiva di Elvira, Puccini pagò di tasca sua per
salvarla e riaverla in casa. Un maligno potrebbe osservare che l’atto di
separazione che Campanari, avvocato di Ricordi, propose tra Elvira e Puccini e
che Elvira non volle firmare, prevedeva un assegno di mantenimento di 12000
lire annue, incluso l’affitto dell’appartamento di Milano dove Elvira si
sarebbe stabilita. Tutto sommato, con il risarcimento della famiglia Manfredi,
che tradizionalmente si individua in 12000 lire una tantum, Puccini ci avrebbe
risparmiato non poco. E’ evidente che Puccini non poteva comunque fare a meno
della presenza di Elvira, tuttavia i rapporti fra di loro presero una parvenza
di normalità solo molti anni dopo, dopo il 1922.
Io
ho una teoria sulla quale forse un giorno riuscirò a lavorare più estesamente,
e cioè che i librettisti di Puccini talvolta imitassero nei loro versi quelle
che erano espressioni che lo stesso Puccini usava – sempre ammesso che non
fosse Puccini a sostituirsi ai librettisti scrivendo lui stesso i versi. Per
esempio, l’espressione “penna infame” per indicare una penna che non scrive che
troviamo nella Bohéme, si trova già in una lettera giovanile di Puccini alla
madre. Io non mi ricordo altro usi di questa espressione: mi piace pensare che
fossero ipsissima verba di Puccini, e che Illica e Giacosa li abbiano infilati
nel libretto per fare il verso a Puccini.
In
questa ottica, non mi dispiace pensare che qualche cosa di Doria sia rimasto
nella figura di Minnie. Puccini lo scrive apertamente a Ricordi un paio di
volte. Ma, alla fine, come era Doria ce lo racconta Minnie stessa:
Non so, non vi comprendo.
Io non son che una povera fanciulla
oscura e buona a nulla:
mi dite delle cose tanto belle
che forse non intendo...
Io non son che una povera fanciulla
oscura e buona a nulla:
mi dite delle cose tanto belle
che forse non intendo...