15/10/17

Josephine von Stengel, la fagiana

(Post di eccezionale lunghezza su Puccini e la von Stengel, dove si racconta come una fagiana fu spiumata)


Qualche nota sulla Josephine von Stengel che pure fu amante di Puccini. Per intensità e durata una storia paragonabile a quella di Cori; ma con toni ben diversi. Nel 1973 Arnaldo Marchetti pubblica “Puccini com’era”, la prima raccolta di lettere di Puccini parenti e amici che non sia stata pesantemente censurata, e che ne fornisca un ritratto talmente veritiero da non essere complessivamente diverso da quello che ne abbiamo oggi. Marchetti riporta tre lettere, di cui una in facsimile, della von Stengel; e Sartori, che all’epoca era il più serio degli esperti pucciniani, nella prefazione del volume si rammarica che non si possa trovare niente di più di lei. La relazione si pone principalmente negli anni de La Rondine. Sartori sperava forse di ricavare dalla von Stengel qualche indizio su Rondine.

Lo studioso che se ne è occupato di più è stato Schickling – comprensibilmente, essendo la von Stengel tedesca – ed è colui che è riuscito a trovare documenti e raccogliere testimonianze fino a quando le figlie della von Stengel erano ancora vive. Schickling ha pubblicato su di lei un articolo nel 1999, non facile da trovare. Per cui oggi abbiamo molte informazioni su di lei che a Sartori sfuggivano, ma tutto sommato nessuna informazione aggiuntiva su La Rondine. A parte qualche dettaglio è verosimile che non sapremo niente di più, perché per il 2009 tutte le discendenti della Stengel – due figlie e una nipote – erano scomparse in tarda età e la famiglia estinta. La ricerca di Schickling ha avuto anche dei veri e propri colpi di genio come andare a cercare negli archivi dei servizi segreti italiani. A me piacciono questi musicologi che fanno il lavoro duro sul campo a caccia di documenti. E ricercare di una persona, come la von Stengel, tutto sommato comune, protagonista di una vicenda fulminante che attraversa parte della sua vita ma non entrata nella storia è difficilissimo.

Sulla von Stengel ci sono pochissime fonti dirette: le tre lettere di lei pubblicate da Marchetti ed una di lui recuperata in copia da Schickling. Da un antiquario qualche tempo fa girava una ulteriore lettera di lei. Poi una foto sulla pietra tombale che la ritrae, bellissima, da giovane; e una del 1919 dove è un po’ più rotondetta ma sempre sorridente. Lei dette ordine alle figlie di distruggere tutti i suoi ricordi alla sua morte e le figlie hanno eseguito. – Esiste poi la solita traccia di allusioni nella corrispondenza di Puccini che ci permette quasi di fare una cronologia degli incontri. Qui finiscono le fonti dirette, e non è molto. Poi esistono due tradizioni di racconti: quella degli amici di Puccini tipo il Marotti e quelle della famiglia di lei raccolte da Schickling. La cosa interessante è che Schickling di principio ritiene inaffidabile il Marotti e che in generale l’aneddotistica italiana sia stata “ricamata”, però molti dettagli riferiti dal Marotti vengono confermati, come fonte indipendente, dai racconti della famiglia di lei.

Josephine nasce come Damboer nel 1886, figlia di un ufficiale di carriera bavarese; a venti anni sposa un barone Arnold von Stengel, anche lui ufficiale dell’esercito e di famiglia molto importante alla corte di Monaco – ricordo che anche se la Germania era di fatto unificata sotto il Kaiser, la Baviera fino al 1918 fu un regno formalmente ma non di fatto indipendente sotto la dinastia Wittelsbach. Nascono quasi subito due bambine, Margot e Gudrun. Il matrimonio non è molto felice ma lui le lascia una certa libertà di viaggiare. Secondo la tradizione aneddotica italiana Puccini vide passare questa donna bellissima, accompagnata da due bambine piccole e dalla loro governante, mentre si trovava seduto al Gran Caffè Margherita di Viareggio; ma Marotti aggiunge che già si erano conosciuti all’estero. Secondo i parenti della von Stengel c’era stato un incontro casuale a Bad Brückenau, stazione termale non lontana da Francoforte – il che tornerebbe con i problemi renali che poi la porteranno alla tomba. A Viareggio la von Stengel ci sarebbe andata per far respirare un po’ di aria di mare alle bimbe e su consiglio di Puccini. Puccini aveva appena comprato un motoscafo e si sarebbe scatenato in gite marine con la bella forestiera. In ogni caso non sapremmo dove collocare nel tempo questi primi incontri. Sappiamo viceversa dove e quando collocare la prima notte di amore: in un alberghetto riservato di Monaco, il Marienbad, fra il 12 e 16 giugno 1912. Lo sappiamo perché nel 1924 Schnabl, l’amico di Puccini che in tutta questa vicenda fornisce spesso coperture ai “giri pesca”, si ferma per caso a dormire proprio al Marienbad e scrive a Puccini su carta intestata dell’hotel. Questo provoca una crisi di nostalgia al maestro, che ricorda ancora la notte  del primo rendez-vous, e sono passati dodici anni. Come l’amore con Cori fu bollente, quello con la von Stengel fu tenerissimo.

La relazione prosegue un po’ sulla falsariga di quella con Cori: Puccini trova le scuse per appartarsi con lei, viaggiando in Germania: lo vediamo in agosto a Monaco, Norimberga, Bayreuth, Karlsbad, a Monaco di nuovo in dicembre e così via. Da Karlsbad scrive sia alla nipote Albina che alla Seligman citando un’altra cura, oltre quella delle acque, che gli fa bene. E negli intervalli fra le sortite tedesche Josephine viene a Viareggio, che altrimenti non si può spiegare perché Puccini senta il bisogno di soggiornare in alberghi a pochi chilometri da casa sua. La stessa Giulia Manfredi, cugina di Doria, raccontò di aver ospitato per conto del maestro una tedesca alta e bellissima. Puccini se la dev’essere portata dietro a Capalbio, a una caccia in Maremma e a una gita in auto dell’Italia centrale.

Elvira avverte qualcosa ma da principio non capisce. Da Karlsbad (e siamo dopo la seconda uscita con la von Stengel) torna un Puccini assente di testa, in una lettera Elvira lo rimprovera di non averla salutata né abbracciata, di essersi chiuso nel mutismo e di averla trattata come un mobile di casa. – Da Monaco in dicembre Puccini scrive tre lettere a D’Annunzio circa i loro progetti (mai realizzati) di scrivere un’opera insieme. D’Annunzio doveva certamente sapere della von Stengel, perché nella seconda lettera lei aggiunge un poscritto in tedesco firmato Josi per ringraziare del regalo di un libro con dedica. E Puccini nella terza lettera dice che mentre sta scrivendo, una mano gli sta accarezzando i capelli; aggiunge anche di non parlare di lei nelle lettere dirette a Torre del Lago, che evidentemente potevano essere intercettate da Elvira.

Come con Cori Elvira impiega solo qualche mese a scoprire la tresca. Secondo Marotti qualche spia andò a riferirle i movimenti viareggini della coppietta. Per cui Marotti narra che ad un convegno amoroso nella macchia di Migliarino, dove Puccini di solito cacciava il fagiano, intervenne inattesa anche Elvira. E, commenta Marotti, "la fagiana fu spiumata". Nel bis di un episodio quasi identico con la Cori dieci anni prima, un altro incontro in pineta vide nuovamente l'intervento di Elvira e la von Stengel ebbe naturalmente la peggio ("stesso spartito, cambia la cantante"). Mi sovviene qui che secondo Vincent Seligman (il figlio di Sybil) che la conobbe da bambino, le mani dell’Elvira erano particolarmente ampie e pesanti. E probabilmente la baronessa non aveva l’abitudine dell’Elvira al combattimento.

Come con la Cori Puccini troverà la maniera di portarsela in casa a Torre del Lago mentre Elvira non c’era perché Puccini era un grande seduttore, ma italiano e quindi la casa è sempre la casa. Sembra che ad un certo punto, in una ulteriore ripetizione del caso Cori, Puccini la abbia anche fatta sorvegliare a casa sua da un detective senza che emergesse nessun carico.

Nel 1913 lei divorzia dal marito, l’atto assegna la colpa a lei e le bambine quindi vengono affidate a lui. Nella tradizione di famiglia sembra che il marito fosse piuttosto geloso, li facesse spiare e dopo il divorzio insistesse per sfidare Puccini a duello; nei racconti di Marotti c’è un marito, non meglio specificato di chi, che sfida Puccini a duello ma ovviamente Puccini non ci pensa neanche lontanamente ad accettare la sfida. Josephine spererà a lungo che anche Puccini divorzi dall’Elvira per sposare lei; in Italia il divorzio non esisteva ma Alberto Franchetti, altro compositore della scuderia Ricordi, era riuscito a divorziare in Germania da un matrimonio italiano. Possiamo lecitamente credere che la speranza di un matrimonio gliela abbia messa in testa Puccini. Una speranza impossibile. Penso che, con tutta la sua gelosia e le sue scenate, l’Elvira fosse una parte essenziale del ménage di Puccini: la poteva tradire e poteva sopportare sportivamente la sua gelosia, a volte anche ridendoci sopra, ma rinunciare a lei e cambiare radicalmente vita gli sarebbe stato troppo faticoso. Non lo fece con Cori, non lo fece dopo il caso della Doria, non succederà neanche con la Josi.

Nel 1914 inizia la guerra mondiale e il marito della von Stengel viene richiamato al fronte, dove muore il 26 febbraio 1915. Le tre lettere di lei che ci sono rimaste si riferiscono esattamente a questo momento. Le bambine rimangono affidate al suocero, il divorzio ha creato un po’ di scandalo e lei non è in condizione di reclamarle e un avvocato la consiglia in tale senso. Puccini acquista il 31 marzo, di nascosto all’Elvira, un appezzamento di pineta a Viareggio dove costruire un nido d’amore per la Josi. Ma il 23 maggio l’Italia entra in guerra contro la Germania: lei diventa un soggetto nemico e non può più venire in Italia, lui non può più andare in Germania e anche il servizio postale diretto si interrompe. Qualche lettera può forse passare tramite un intermediario in Svizzera, territorio neutrale. Dato che i committenti di Rondine sono austriaci, quindi nemici anche essi, Puccini deve andare in Svizzera per incontrarli e probabilmente vede anche lei. Dato che Puccini scrive all’Elvira di non aver incontrato “quella persona”, probabilmente è vero il contrario.

In una notte che in famiglia si racconta come drammatica Josephine fa il colpo di mano. Rapisce le bimbe al suocero e le fa sparire in Svizzera; da novembre 1915 ottiene il permesso di soggiorno a Lugano dove rimarrà fino al 1919. Puccini ha conoscenze altolocate, ottiene un passaporto non facile da avere in tempo di guerra e può andare a visitarla regolarmente, più o meno una volta al mese, da Milano. Gli incontri di Puccini con una donna tedesca altolocata, figlia e vedova di militari, non passano inosservati, tanto più che si riferisce, probabilmente senza fondamento, che lei si incontri con altri ufficiali tedeschi e che sia una spia. Le bimbe vedono arrivare ogni tanto questa persona che chiamano Jacques, ma non sanno chi realmente sia. Puccini passa molte grane, viene sorvegliato dai servizi segreti e il console italiano a Lugano minaccia di fargli ritirare il passaporto. Schickling ha trovato una cartella a nome Puccini negli archivi del ministero dell’interno ed in essa è la copia dattiloscritta, effettuata da un ufficiale della censura di un innocuo messaggio di lui a lei. La busta era stata aperta con il vapore, la lettera (indirizzata a “Mucchietto” e firmata “Muccino”) copiata e poi richiusa. L’originale, ovviamente, sarà stato distrutto dalle figlie. Per merito di questa spiata abbiamo una copia di un’unica lettera sfuggita alla distruzione.

Secondo l’aneddotica, a cui Schickling non crede, Puccini trova un angelo custode nel commissario Raffaele Monaco, originario napoletano e distaccato al posto di frontiera di Chiasso. Monaco si convince rapidamente che gli incontri di Puccini sono di natura amorosa e chiude un occhio nonostante gli ordini che arrivano da Roma. Si narra che Monaco interrogasse Puccini una prima volta, raccomandandogli di trovarsi una amante italiana se proprio voleva e di piantarla con quei viaggi che destavano il sospetto. E Puccini avrebbe risposto “al c. non si comanda”. Dopo qualche tempo Monaco fu costretto a fermare nuovamente Puccini perché era arrivato un dossier relativo ad una lettera anonima che lo denunciava come spia. Secondo l’aneddoto, la lettera anonima era nella calligrafia di Elvira.

La relazione va avanti con queste difficoltà negli anni della guerra; paradossalmente, quando la guerra termina e la relazione potrebbe riprendere senza problemi organizzativi, invece va a morire. Nel 1919 la von Stengel ha finito i suoi soldi, Puccini la installa con le figlie e la mantiene, chissà perché, a Casalecchio vicino a Bologna; ma tronca la relazione quando dal parroco di Casalecchio arriva una segnalazione, anche questa probabilmente falsa, che la von Stengel si vede con un capitano dell’esercito italiano. Da lei arriva ancora qualche lettera, e, poco più tardi, la richiesta di un prestito di 10000 lire per impiantare un albergo a Bologna. Del Fiorentino riferisce che Puccini, in memoria di tanti bei momenti passati insieme, non può ignorare la richiesta e le invia 5000 lire non in prestito ma in regalo. Anche Gragnani, altro amico, parla di questo aiuto economico. E’ l’ultimo atto: non si sentiranno mai più. Nell'appezzamento di pineta a Viareggio viene costruito un villino, ma per Puccini e l'Elvira: sarà il luogo della stesura di Turandot. Negli ultimi anni il nuovo amore di Puccini è la cantante Rose Ader. La von Stengel apprenderà la notizia della morte di lui dai giornali.

Secondo i ricordi dei parenti, Josephine passa i suoi ultimi anni a Bologna, piuttosto duri perché l’inflazione tedesca ha fatto evaporare il patrimonio di famiglia. Dell’albergo non se ne farà niente. Trova un non meglio identificato Ferrari, assai benestante, che vorrebbe sposarla; lei non accetta ma Ferrari mantiene comunque lei e le figlie come un padre. Josephine muore di malattia renale nel 1926, a quaranta anni e neanche due anni dopo Puccini. Il Ferrari mantiene le due bambine fino a maggiore età; queste seppelliscono la madre in una semplice tomba a Bologna, ancora esistente, poi tornano in Germania.

Questi sono i fatti. La von Stengel oltre che alta e bella, era anche gentile, simpatica, colta, appassionata di musica, forte nell’affrontare i casi della vita e dolcissima con Puccini. In altre parole, tutto quello che Elvira non era. Le sue tre lettere del marzo 1915, dove immagina una vita quale sposa di Puccini – piccole cose, apparecchiare la tavola, stare insieme davanti al cambino - sono scritte in un italiano scorretto, a tratti trapattoniano, ma simpaticissimo. Confesso che per la loro innocenza e il sentimento di amore devoto non riesco a leggerle senza rimanerne commosso. Leggete anche voi ad alta voce un passo, aggiungete un lieve accento tedesco e vi sembrerà di sentirne la voce.  Lettera probabilmente da Stoccarda, il 24 marzo 1915.

“[…] Come vorrei stare con te! Mi arrabbio che non lo sono ed ora dove tu sei solo. Che bella occasione! Oh, Giacomo, come soffro per ciò. Non ho ancora notizie per le cose mie [le pratiche legali per l’eredità del marito e l’affido delle bambine]. Se io potrei andare da te o insomma subito da te senza cambiare l’abitazione, che bellezza sarebbe! Che felicità! Aspettiamo cosa vuole Dio! Ma io sono la tua, questo sì! Penso molto a te e con tanti dolci pensieri. Dio benedica te, me e aiuta noi! Sento un mondo d’amore per te e sento come mi ami anche tu! Ci siamo inseparabili. Lunedì ho le bambine - mi sento così sola qui! Se tu mi cercasti! Che bellezza! Raccontami un pò della vita che tu fai. Lo fai per me? Non guardi nessuna? Io penso a tante cose. Noi due, credi, ci stiamo in continuo torturo per tante cose inutile! Ma la premura d'essere insieme, diventa un vero torturo e poi vengono anche altri pensieri nella disperazione. Tu mi hai detto, che a Viareggio comprasti un terreno e vuoi far fare una villina! Non hai detto nulla ancora a nessuno? Spero; troverei che questa confidenza sarebbe ingiusto quando si vive in questi condizioni come ora. E tu lo farai per me! E poi speriamo che noi potremo abitare insieme in questa casetta! Lo vuoi? Che delizia sarebbe. Oggi danno Tosca a Monaco. Addio mio tesoro ti bacio tanto tanto la tua bocca e ti stringo teneramente al mio cuore. Tua Busci.”

Quando Josi scrive queste parole, l’Italia non è ancora entrata in guerra contro la Germania, ma dai giornali si capisce come andrà a finire e Josi lo sa benissimo. Solo una incrollabile ottimista avrebbe potuto scrivere qualche cosa del genere.







13/10/17

Filologia pucciniana n.3 - Giovani a gloria

Filologia pucciniana 3 – A Gloria

Nell’agosto 1912 Puccini si reca a Bayreuth, prende alloggio all’Hotel Goldener Anker, e assiste alla recita di Parsifal del giorno 8. Per moglie parenti e amici sta viaggiando da solo, nella realtà è accompagnato dalla sua amante tedesca, la baronessa Josephine von Stengel (1886-1926). Lui ha quasi 54 anni, lei 26.

Alla portineria dell’albergo non occorre presentare il passaporto, quindi Puccini può lasciare un nome di comodo. Secondo una tradizione risalente a Marotti e Pagni, si presenta come Archimede Rossi, accompagnato dalla sua nipotina (Monicelli avrebbe detto “nipotina da parte di fava”). Secondo un’altra tradizione risalente a D’Ambra, lo pseudonimo fu Aristide Granchi.

Questa divergenza nelle fonti fa impazzire gli studiosi più seri, per cui il prof. Schickling per il suo articolo del 1999 sulla Stengel andò a consultare le “Fremdenlisten”, le liste degli ospiti stranieri del Goldener Anker che, attestando le presenze da tutto il mondo ad ogni festival, sono conservate religiosamente nel museo a Villa Wahnfried. Naturalmente non c’è da aspettarsi che un portiere d’albergo bavarese azzecchi sempre la grafia di un nome straniero ed in effetti  si trovano spesso svarioni. Nella lista del 9 agosto ci sono tre nomi italiani:

Grase, avocatto, Turin
Cracotti, avocatto, Turin
Giovani, Agloria, Turin

Quindi non sapremo mai quale fosse il vero pseudonimo di Puccini. Grase forse potrebbe essere Grassi. Ma i toscani che usano l’espressione “a gloria” capiscono immediatamente che “giovani a gloria” è la von Stengel e che questa espressione in mezzo alla Baviera più profonda non può venire che dalla testa di Puccini. Anzi si vede quasi davanti agli occhi Puccini che fa quella che Monicelli avrebbe chiamato “la supercazzola” al portiere.

La traduzione di questo aneddoto ha messo in difficoltà gli studiosi stranieri, che magari hanno chiesto il parere di qualche italiano – ma sospetto che per capire “a gloria” serva un toscano. Nella mia famiglia si è sempre usato “a gloria” per dire – finalmente. “Tu se’ arrivato, a gloria”, vuol dire che ti sei fatto attendere e da ultimo sei giunto. “Ti s’è aspettato a gloria”, vuol dire che non arrivavi mai.

Penso che la locuzione derivi dal versetto “Gloria Patri” che si aggiungeva, quando si cantava il gregoriano, in coda ai salmi ed al magnificat. Arrivare a gloria voleva dire arrivare quando tutto era quasi finito. Per cui la locuzione sarebbe parente di “alla fine dei salmi”.

 “Giovane a gloria” per me vorrebbe dire “finalmente una giovane!” e io interpreto così la volontà di Puccini, al netto degli errori del portiere. Volendo prenderla letteralmente, vorrebbe dire “finalmente dei giovani!”

Ma vorrei sentire il parere degli amici toscani sul corretto uso del modo di dire.


(All’intervallo del Parsifal, Puccini fu scorto in platea da tale Placci, italiano e wagneriano accanito, che avvertì la Cosima Wagner; e la Cosima disse di invitare il maestro nel suo palco. Placci andò da Puccini che finse di non essere Puccini per un po’, poi gli disse chiaramente che aveva dietro una donna in incognito e non poteva rischiare di finire sul giornale. Per cui Placci fu costretto a tornare da Cosima Wagner a dire che in platea non c’era Puccini ma uno che gli assomigliava, tale Archimede Rossi, etc.)

12/10/17

Filologia Pucciniana n.2 – L’Elzeviro


Nel fondo Bonturi-Razzi troviamo un pacchettino di lettere di Illica (il librettista di Puccini) indirizzate a Elvira, ancora non coniugata Puccini. Siamo nel terribile anno 1903. A seguito dell’incidente d’auto, Puccini è a Torre del Lago bloccato in casa con una gamba rotta. Deve aver promesso alla Cori di sposarla e questa lo tormenta per lettera, Elvira viceversa lo massacra dal vivo. Parenti e amici gli stanno addosso per costringerlo a fare la cosa giusta, lasciar perdere la ragazzina e sposare la madre di suo figlio. Anche l’editore Giulio Ricordi (oggi si chiamerebbe: il suo produttore) a Milano ha paura che Puccini perda la testa dietro una puttanella minorenne e l’investimento della ditta su di lui vada in fumo.
In due cartoline di Illica (fondo Bonturi) si trova una espressione in codice, “elzeviro”.
1. Luigi Illica, Cassano d’Adda – a Elvira, Torre del Lago 31/3/1903
Gentilissima Signora Elvira – come Le ho scritto – Giulio R. andrà personalmente a Roma e personalmente si occuperà della edizione elzeviriana.
2. Luigi Illica, Cassano d’Adda – a Elvira, Torre del Lago 11/4/1903
Gentiliss.ma Signora Elvira, la Signora Ramelde mi ha scritto una bellissima lettera per affrettare l’elzeviro ove parla del sig. Giulio. L’ho mandato subito a Ricordi. Da Riccioni niente. Come avrà visto, appunto perché non troppo sicuro l’uomo, nella mia dico che l’urgenza della cosa non riguarda né l’Elvira né Tonio – ma la piemontese.
*************
La piemontese è Cori, quindi l’elzeviro è urgente per colpa sua.
E’ evidente che qui “elzeviro” non significa né piccolo libro tipograficamente curato (Ricordi non ne pubblicava né aveva bisogno di andare a Roma) né editoriale giornalistico di terza pagina, ma è un nome in codice. Qualche cosa che solo l’Elvira deve capire. Che cosa significa? Le lettere del fondo Bonturi sono emerse da una decina di anni e, a parte il grande documento sull’attività galante della Cori, non sono ancora state studiate dai critici. Per cui qui bisogna saper interpretare in proprio. 
Dato che le espressioni di Puccini e famigli rimandano sempre per assonanza all’oggetto dell’espressione, il primo passo sta nel trovare l’assonanza ad “elzeviro”. E l’assonanza è ovviamente Elvira: è qualche cosa che riguarda proprio lei personalmente. Letteratura critica non ce n’è, ma le lettere fra Ramelde (la sorella prediletta di Puccini) e Illica ci sono e sono state pubblicate in “Puccini com’era” (curatori Marchetti/Sartori) nel 1973. Rimettendo insieme queste due lettere con quelle si capisce che cosa sia l’elzeviro che il comm. Giulio Ricordi doveva affrettare. Giulio Ricordi va a Roma per ottenere dal governo (e specificamente da Zanardelli, presidente del consiglio, apprendiamo da una terza cartolina) una dispensa ai termini di vedovanza di Elvira. Il marito legittimo di Elvira muore il 26 febbraio 1903, Elvira a termini di codice civile vigente può risposarsi solo dopo dieci mesi che servirebbero ad accertare una eventuale gravidanza (nel qual caso il figlio si presumerebbe essere del defunto); quindi non prima del gennaio 1904. Ma parenti e amici temono di non riuscire a reggere Puccini per tanto tempo, e che Puccini faccia un colpo di testa e ceda alle richieste di matrimonio di Cori prima che Elvira sia matrimoniabile. Quindi mandano il pezzo più grosso possibile – Giulio Ricordi – a Roma per chiedere al governo un decreto ad personam. Ma Zanardelli rifiuta e per Elvira sono altri otto mesi di passione. Se viceversa il governo avesse ceduto, Puccini sarebbe stato messo di fronte al fatto compiuto e costretto al matrimonio immediato. Con la gamba ancora ingessata.
Nella realtà il matrimonio con Elvira venne celebrato domenica 3 gennaio 1904, in pratica il primo giorno utile. E la Cori con le sue minacce di scandalo venne liquidata a fine dicembre, in pratica l’ultimo momento possibile.
(Che questa mossa di Ricordi fosse stata chiamata in codice “elzeviro”, a mia conoscenza non l’ha ancora scritto nessuno. Sospetto che quello che vi scrivo sia una novità assoluta.)

11/10/17

Puccini, Cori e Krausser

(Altro post molto lungo. Note storiche su Puccini – Cori – Krausser)

Ringrazio tutti coloro che si sono interessati alla vicenda di Cori e Puccini. E’ arrivato dalla Germania “Der Jadg nach Corinna” (Caccia a Corinna), il libro dove Helmut Krausser documenta le sue ricerche ed espone la teoria che Cori, l’amante di Puccini la cui identità è stata tenuta celata per oltre un secolo, fosse all’anagrafe Maria Anna Lucia Coriasco (1882-1961), presentando i relativi documenti. Ho dato una scorsa e con il mio tedesco imparato nelle orchestre e non sui banchi di scuola probabilmente ho perso più di una sfumatura, posso tuttavia fare un veloce aggiornamento al post precedente sulla Coriasco. Come dicevo, più che l’identificazione in se mi interessa il procedimento con il quale si è arrivati a questo nome.

Krausser è un romanziere (anche un compositore, a dire il vero) e anche nel libro che vorrebbe essere più documentato ragiona da romanziere. Schickling ha dato un contributo prezioso in termini di indirizzo e soprattutto di contatti, essenziale quello con la prof. Biagi Ravenni a Lucca. E Schickling soprattutto, riprendendo la teoria di Krausser nella sua biografia le imprime un marchio di legittimità non indifferente. Ma quello che inglese si chiama “legwork”, il lavorio delle gambe, la ricerca sul campo faticosa e tediosa è stata fatta da Krausser coadiuvato da alcuni assistenti.

Vedo subito che, per l’estrema fatica di documentare vite di assoluti sconosciuti cercandone i dati alle anagrafi, ai distretti militari, nei tribunali, Krausser ha seguito solo alcune delle tracce possibili, quelle che sembravano più promettenti. Questo significa che la sua identificazione della Cori nella Coriasco, pure verosimile, non si può dimostrare con la sicurezza del 100%.

Quando Krausser inizia il suo lavoro, di Cori è noto solo quello che si legge in alcune lettere di Puccini ed entourage. Inoltre c’è la traccia della vecchia madre di Massimo Mila che sostiene che Cori/Corinna sia stata una sua compagna di scuola, che si chiamava Agnoletti o Agnellotti. Dato che Mila stesso non ha seguito questa traccia con la dovuta attenzione, Schickling ne deduce che sia come minimo sospetta. Vaneggiamenti?

Nel 2006 la biblioteca statale di Lucca acquista il fondo Bonturi-Razzi. Le relative lettere in realtà rimangono chiuse per alcuni mesi in cassaforte per questioni amministrative, l’unica che le può brevemente visionare è la Biagi Ravenni che trova il documento sensazionale: una bozza della lettera, partita verso l’ottobre 1903 in cui Puccini riassume i diari degli investigatori che hanno seguito la Cori, hanno dettagliato le sue avventure con diversi altri uomini e per questi motivi Puccini le dà il benservito. La Biagi Ravenni può appuntare solo pochi dettagli che passa a Schickling e tramite questi a Krausser. Questi iniziano l’investigazione solo usando i pochi nuovi dettagli a disposizione.

Il dettaglio essenziale è che, secondo gli investigatori, il padre della misteriosa Cori/Corinna è stato condannato per oltraggio al pudore. La ricerca quindi parte all’archivio di stato sfogliando i volumi delle sentenze dell’anno 1903. Incredibilmente fra i condannati di giugno c’è un Agnelotti, il che darebbe ragione alla mamma di Mila, ma a successive indagini si accerterà che quell’Agnelotti aveva solo figli maschi.

L’attenzione si appunta su un Domenico Coriasco, condannato in prima istanza il 25 settembre 1903. Qui devo osservare che Krausser ha lasciato cadere, probabilmente per l’impossibilità pratica di investigarli tutti, gli altri nomi – Coriasco è sembrato subito il più probabile per l’assonanza tra “Cori” e “Coriasco”, e si sa che Puccini coniava soprannomi per assonanza. Saltiamo l’elenco delle penose ricerche alle anagrafi – che comunque iniziano le loro attività con l’Italia unita e Coriasco Domenico è nato prima, e salta fuori una Domenica Coriasco di lui figlia (recte Domenica Marietta Luisa). Dal cimitero vediamo le sue date: 1879-1964. Un filo troppo vecchia per essere Cori. Inoltre si trova il necrologio su “La Stampa” e anche un atto di matrimonio: Domenica Coriasco si è sposata nel 1902, e questo non è compatibile con il ruolo di Cori, che nel 1902 era in pieno idillio con Puccini.
Di lei si accerta che aveva due sorelle:
Maria Antonietta Elvira (1881-?)
Maria Anna Lucia (1882-1961)

Ambedue potrebbero essere candidate al ruolo di Cori. Ma della prima si perdono le tracce subito dopo la nascita, forse in un trasloco della famiglia da Saluzzo a Torino. Il suo atto di nascita non ha trascritti né matrimonio né morte. Krausser suppone che possa essere morta da bambina, forse addirittura prima della nascita di Maria Anna Lucia – altrimenti nella famiglia Coriasco ci sarebbero due figlie chiamate “Maria”.

Di Maria Anna Lucia sappiamo che era sarta, che sposa un certo Pancrazio Severino nel 1906, che poi è stato l’unico testimone a discarica nel processo di suo padre. Ha due figli dei quali si trovano solo nascita e morte, uno di questi a sua volta genera una nipote introvabile dopo il 1950. L’unica foto disponibile è quella della tomba.

Nel mentre Krausser trova questi dati, le questioni amministrative si sbloccano e la Biagi Ravenni può inviare una copia integrale del documento. E saltano fuori dei dati aggiuntivi su Cori forniti dallo stesso Puccini che la rendono compatibile con la Maria Anna Lucia Coriasco:
-       frequenta l’ambiente delle sartine
-       ha una sorella
-       dice di avere un fratello ma non è vero
-       ha dei conoscenti o familiari che coprono i suoi movimenti, le cui iniziali sono D.C. (e la Coriasco di parenti con le iniziali D.C. ne ha addirittura due)

Altri due particolari. Corinna può essere derivata da Cori + Anna. E negli 1900/1901 la presenza di Puccini a Milano il 18 settembre, data del compleanno di Corinna, renderebbe possibili con poca fatica un paio di trombatine di compleanno (questo lo fa capire Krausser, a me sembra un po’ tirata). Nel 1902 questo non sarebbe possibile. Nel 1903 Puccini, ancora ingessato, di strada fra Viareggio e Parigi si ferma per mezza giornata il 18 settembre a Genova per discutere con il suo avvocato torinese Nasi la liquidazione della relazione. E potrebbe darsi, visto che Cori e Puccini si trovavano regolarmente a Genova (metà strada fra Viareggio e Torino), che l’abbia vista in quella occasione per l’ultima volta per chiudere con lei. E anche lei sarebbe andata dall’avvocato.

Ultima conferma, il dettaglio delle date del processo di appello Coriasco e Puccini che si sente sollevato il giorno seguente la seconda condanna.

Questo è quanto. Una identificazione verosimile ma non definitiva. Nel fondo Bonturi-Razzi sono finite anche lettere, una di un amico di Puccini (verosimilmente Luigi Pieri detto Ciospo) che aveva organizzato l’investigazione, ed una corrispondenza tra Illica ed Elvira dove si intuiscono manovre sotterranee fra Illica e forse Ricordi per convincere Puccini che la sua adorata Cori avesse una doppia vita (anche tripla o quadrupla).

Se Cori è veramente la Coriasco, abbiamo un identikit abbastanza preciso: di famiglia modestissima, è una grisette (avete presente Mimì?), la sartina indipendente dalla famiglia già in giovanissima età, tendenzialmente di coscia lesta e con la tendenza a trasformarsi in una cocotte – che questa è la fama che gli investigatori di Puccini riscontrano di lei. La vedono ricevere in casa una o due persone per sera, dal tipografo al conte, e riferiscono a Puccini. Puccini ne rimane distrutto. La cortina di silenzio che viene fatta sulla sua persona serve a proteggere la fama del maestro dallo scandalo di essersi legato per quattro anni ad una donna di un simile ambiente.

Ultima cosa: la spiegazione delle foto di nudo che Krausser identifica in Cori è veramente poco convincente. Probabilmente Cori non era molto diversa, sappiamo che a Puccini delle donne interessava più il lato B del lato A, sappiamo che Cori fu fotografata dal Bertieri, un fotografo di successo che ne fu per qualche tempo anche l’amante, ma non esiste nulla di concreto per legare queste foto a Cori se non che furono scattate negli anni in cui si svolgeva la vicenda, ed una ipotetica somiglianza tra la modella e la foto sulla tomba della Coriasco.

Volete sapere la mia opinione? Io credo impossibile che, fra le soffitte di Torre del Lago o gli archivi di casa Ricordi o negli archivi di qualche studio legale non esista almeno un foglio dove Cori sia descritta con nome cognome ed indirizzo (vicino alla stazione di Porta Nuova, questo lo sappiamo). Semplicemente, c’è stata la consegna del silenzio assoluto e la consegna sembra ancora valere dopo oltre un secolo. Un giorno qualche lettera verrà messa in commercio e l’enigma sarà risolto definitivamente, ma forse deve passare ancora una generazione perché queste faccende abbiano quella rilevanza solo storica e non più umana che potrà permettere di aprire gli archivi.






07/10/17

Puccini e Cori

L’altra notte non riuscivo a dormire, tormentato da una coppia di zanzare che, non contente di divorarmi, mi svegliavano ogni cinque minuti. Alla fine nel mezzo della notte mi sono alzato e sono andato a leggere qualcosa in salotto per vedere di farmi tornare il sonno. Il caso ha voluto che mi mettessi a curiosare nelle pagine dell’internet culturale, imbattendomi nelle immagini scannerizzate di lettere, cartoline e documenti del fondo Bonturi depositato nella biblioteca statale di Lucca. Ida Bonturi era la sorella di Elvira, la moglie di Puccini; il marito dell’Ida fungeva spesso da factotum del maestro per cui a loro rimase questo pacchetto di lettere per lo più minime, legate a qualche commissione da svolgere, oppure rime scherzose. Tutte scannerizzate e a disposizione di tutti; qui sotto lascio il link per vederle sul web, o compilando un form, anche scaricarne le immagini. Lettere per lo più irrilevanti. Ma nel fondo Bonturi stanno due oggetti archivistici che sono vere e proprie pistole fumanti: la minuta, lunga 13 pagine, di una lettera che Puccini pensava di indirizzare alla misteriosa giovane sua amante che chiamava con gli pseudonimi “Cori” o  “Corinna”,  e la busta che conteneva la minuta della lettera. Siamo nel settembre/ottobre 1903.

Brevemente: Puccini si innamorò di questa ragazza nel 1900; si suppone che all’epoca lei avesse 17 anni, quindi fosse minorenne (la maggiore età si raggiungeva a 21 anni). Puccini viveva con Elvira a Torre del Lago, ma spesso si spostava per seguire gli allestimenti di Manon, Bohème e Tosca; Butterfly era in gestazione. Inizialmente con la ragazza ci furono incontri clandestini probabilmente nel nord Italia, poi Puccini non deve aver resistito alla tentazione di esibirla agli amici e la fece venire a Viareggio, a Migliarino, forse anche a Torre del Lago. Furono visti insieme alla stazione di Pisa, la voce giunse ad Elvira e scoppiò una grave crisi di gelosia; crisi prolungata, perché la storia andò avanti per tre anni. Sembra che in almeno una occasione la Cori abbia assaggiato le ombrellate dell’Elvira (cosa che successe peraltro anche alla successiva amante, la von Stengel).  Peraltro bisogna ricordare che Puccini ed Elvira non erano sposati, né si potevano sposare: rimasta incinta di Giacomo, lei aveva abbandonato nel 1884 il suo legittimo marito Narciso Gemignani dividendo con Puccini, il figlio infante ed una figlia precedente che si era portata dietro dieci anni durissimi di miseria; ma non esistendo il divorzio era legalmente coniugata al Gemignani finchè morte non separi.

Abbiamo ottimi motivi di ritenere che la giovanissima Cori fosse alquanto disinibita: in un bigliettino del 1900 ad un amico, Puccini vanta di aver goduto di lei sette volte in una notte.  In un’altra lettera la definisce “un pezzo di vagina fresca”. Nel 1900 si sono appena conosciuti, secondo la tradizione su un treno fra Milano e Torino. Sicuramente una infatuazione travolgente da parte di lui, ma evidentemente anche una ragazza fuori dal comune. Comunque non una amicizia intellettuale. Puccini potrebbe aver promesso alla ragazza di piantare Elvira e di sposarla, non si può dire con quale reale intenzione. Ma la notte del 25 febbraio 1903 rovescia i piani di Puccini e di Cori, che stava per compiere i 21 anni. In sole 12 ore si verificano due casi drammatici: la notte Puccini rimane coinvolto in un incidente automobilistico che lo lascerà per mesi chiuso in casa a Torre del Lago con una gamba ingessata, sorvegliato a vista dall’Elvira (donna imponente, passionale e violenta) ed impossibilitato ad incontrarsi con Cori. Il giorno dopo muore il Gemignani, il che significa che passati i 10 mesi di vedovanza prescritti dal codice civile, Elvira lo potrà sposare. Elvira esige di essere sposata, e anche se non fosse d’accordo lui non può fuggire perché non riesce a camminare. La pressione di amici, parenti, e finanche di Giulio Ricordi su Puccini perché si comporti da uomo e faccia la cosa giusta è fortissima. La sorella suora di Puccini commenta che la misericordia del Signore ha mandato apparenti disgrazie che lo riportassero sulla retta strada ed evidentemente è difficile immaginare due disgrazie indipendenti il cui effetto combinato potesse essere così potente.

Questa crisi, con lettere clandestine e continui litigi familiari dura durante tutta la convalescenza per la gamba rotta. Nell’estate 1903 giungono voci strane sulla Cori e Puccini decide di metterle alle calcagna a Torino due investigatori privati, un uomo e una donna, per verificare come si comportasse in sua assenza. I due documentano la frequentazione di locali equivoci e una lunga serie di incontri fra la Cori e nobili, ufficiali, un fotografo, oltre alla presenza di un giovane di umile classe, tale Guido, che funge da amante semistabile – o forse da protettore per una attività di prostituzione? Uno dei personaggi altolocati si trattiene nell’appartamento di lei dalle 20 alle 1.30 di una notte e trattandosi di Cori Puccini sa esattamente che cosa questo significhi (“schifosa!”). Nel colmo della rabbia Puccini butta giù queste 13 pagine di appunti su cosa rinfacciare a Cori – la sua grafia già di solito difficile da leggere è ai limiti dell’incomprensibile per l’agitazione. Elenca un sunto degli incontri accertati dagli investigatori e la insulta sanguinosamente. In fondo alla decima pagina leggiamo: “Che abisso di viltà e prostituzione! Siete merda! E con questo grido vi lascio per sempre alla vostra vita!”
L’archivista della biblioteca non ha neanche indovinato l’ordine esatto delle pagine e non ha capito che questo doveva essere l’ultimo foglio.

Queste sono le bozze della lettera che tronca il rapporto, non sappiamo come fosse la lettera definitiva, quello che sappiamo è che la Cori mette le sue lettere da Puccini in mano ad un avvocato. Sappiamo con certezza, perché glielo rinfaccerà Elvira per iscritto ancora molti anni dopo, che quando l’avvocato comunica le richieste della Cori Puccini si prende una tale paura da meditare di fuggire in Svizzera, segno che verso di lui viene minacciata una azione non civile ma penale, forse per corruzione di minorenne. Alla fine Cori, molto più modestamente, si accontenterà di un risarcimento e sparirà dalla vita di Puccini. A dire il vero, sparirà dalla storia, perché nonostante tutto l’entourage di Puccini fosse a conoscenza di lei, l’avessero vista, le avessero parlato, le avessero scritto ed avessero trattato con lei la libertà del maestro, la sua identità venne tenuta rigorosamente segreta da tutti. Non si è mai saputo il suo vero nome. Ci sono letteralmente decine di lettere scritte nell’entourage di Puccini dove è nominata solo come “la piemontese”.

Il primo a ricercarla fu Massimo Mila. La vecchia madre del Mila una sera disse che l’amante di Puccini era stata una sua compagna di scuola. Però Mila non riuscì a venire a capo della traccia (io, per conto mio, ne deduco che se la signora Mila non si sbagliava, allora la Cori possa non essere stata l’unica giovane torinese con la quale Puccini abbia avuto una avventura). A seguito della testimonianza della signora Mila si ritenne che la Cori fosse una ragazza di elevata estrazione sociale e che per questo fosse stato mantenuto l’anonimato.

Più recentemente i tedeschi Krausser e Schickling ritengono di averla identificata, partendo da queste minute di lettera, in una Maria Anna Coriasco, una sartina torinese di modestissima famiglia che è vissuta nella più assoluta anonimità fino al 1961. L’unica foto nota di lei è quella sulla pietra tombale, una vecchietta insignificante, quanto di più lontano dall’atleta del sesso che aveva soggiogato Puccini. Krausser è un romanziere, ha scritto un bel romanzo sul caso semplicemente copiando un po’ di lettere vere e immaginandosi alcune lettere per coprire i buchi della vicenda.  Un romanzo senza pretesa di rigore storico ma che non deve essere troppo lontano dalla realtà. Schickling, invece, è il più serio degli esperti di Puccini della nostra epoca e se si schiera per questa ipotesi ha un peso.

Come sono arrivati i tedeschi alla Coriasco? Mila spulciò inutilmente i registri dell’università di Torino alla ricerca di una studentessa di magistero come sua madre i cui estremi fossero compatibili con la figura di Cori. Krausser e Schickling hanno trovato la pistola fumante a metà di questa lettera. All’inizio di pagina 14 si trova l’appunto “suo padre condannato per oltraggio al pudore”. I due tedeschi hanno sfogliato gli annali giudiziari del 1903 fino a trovare un Domenico Coriasco condannato per aver molestato una bambina ai giardinetti negli stessi giorni in cui Puccini scrive questi appunti. Coriasco aveva due figlie, Domenica e Maria Anna. Sappiamo dagli appunti di Puccini che Cori ha una sorella e che una donna con le iniziali D.C. (Domenica Coriasco?) copriva le sue scappatelle. Cori ha detto a Puccini di avere anche un fratello, ma Puccini sospetta trattarsi di una balla e che il supposto fratello sia in realtà Guido. Maria Anna Coriasco è nata nel 1882 e quindi come età è compatibile. E, visto che Puccini coniava spesso soprannomi da giochi di parole, torna perfettamente che Cori sia l’abbreviazione di Coriasco e Corinna venga da Cori + Anna.

Della condanna di Coriasco padre probabilmente fecero tesoro gli avvocati di Puccini, inducendo la Cori ad accontentarsi dei quattrini: in un processo fra il più noto artista italiano e la figlia di un maniaco sessuale, questa non avrebbe avuto alcuna speranza di convincere la corte. Una ulteriore conferma dell’ipotesi Coriasco sta nelle date. Coriasco padre andò a processo il 25 settembre 1903 – proprio nei giorni in cui Puccini sta accumulando prove contro Cori. Segue la rottura tra i due, Cori si rivolge ad un avvocato, la lettera dell’avvocato arriva a Torre del lago il 24 novembre, e questo lo sappiamo da Elvira che scrive il giorno stesso a Luigi Illica che è arrivato un ricatto della piemontese. Puccini si dispera e medita la fuga. Il 27 novembre la condanna di Coriasco padre viene confermata in appello, e il 28 Puccini scrive a Illica che “la crisi è passata ma è stata tremenda”. Coincidenza? Allora la posta arrivava in un giorno.

La non onorevole vicenda di Coriasco padre ci fa pensare: sappiamo bene che dietro alle ragazze di dubbia moralità stanno spesso storie di famiglie disastrate se non di violenza infantile nell’ambito familiare. Sotto questo aspetto la figura della Cori non è più tanto glamour, anzi più che ci pensavo più ha incominciato a farmi pena. Poi ho pensato alle altre amanti di Puccini. La tenera baronessa von Stengel, della quale sono sopravvissute tre belle lettere d’amore in un simpatico italiano sgrammaticato; molto più giovane di Puccini ma gli sopravvisse neanche un paio di anni. Sibyl Seligman, l’inglese bellissima ricchissima coltissima ed intelligentissima, che morì mezza alcolizzata. Poi ho pensato a Giacomo ed Elvira, perennemente in guerra, egoista e doppiopesista lui, distrutta dalla gelosia lei e sempre amareggiata. Ho pensato alla povera Doria che si suicidò per lo stalking di Elvira. Tutte queste anime che non ci sono più e che in definitiva tanto hanno sofferto mi hanno ispirato, collettivamente, una profondissima pena. Ed è finito che non sono più riuscito ad addormentarmi.


http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/viewItemMag.jsp?case=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ALUA0169832


10/06/12

Herbert Breslin

E' passata completamente inosservata la morte di Herbert Breslin, il leggendario manager di Pavarotti (e di altri, incluso la amata Alicia de Larrocha), e autore dell'unico libro su Pavarotti che lo descrive esattamente come tutti noi l'abbiamo conosciuto.

http://www.washingtonpost.com/blogs/classical-beat/post/rip-herbert-breslin/2012/05/17/gIQAu7HqWU_blog.html

07/06/12

Aforismi

Appartengo ad un gruppuscolo filorecitativista. Aspetto la digos a casa per arrestarmi da un momento all'altro.

Sono contento di aver iniziato a lavorare in quella che musicalmente era un'altra epoca. Per esempio, quando il tenore che faceva i capricci dopo le dieci di sera era almeno in grado di garantire la sala piena.

C’era una volta un calciatore brasiliano talmente furbo e veloce che di solito finiva con il dribblare se stesso.

Stamattina accendo la TV. C'è un qualche deputato che sta pontificando: "il nostro alfabeto deve iniziare dalla lettera G! G come grescita!". Televisione spenta immediatamente.

C'è qualcosa che non va nella nostra economia. Oggi al supermercato un litro di vernaccia DOCG costava meno di un litro di benzina.

Quando le primarie sono aperte a tutti, è forte la tentazione per il partito avverso di mandare un po' dei suoi a scegliersi l'avversario. Saltano fuori così dei candidati improbabili. In America, dove le primarie si fanno da tanto tempo, hanno anche un termine per definire questo fenomeno: Party raiding.

Quando vedo come girano queste questioni, mi viene in mente una storiella dell’amico Dell'Ira. Al suo paese c'è un pescatore professionista (Gino) e tanti pescatori dilettanti. Quando uno dei dilettanti si vanta di aver pescato un pesce particolarmente grosso, gli altri lo rimettono a posto: "Ber mi' palle, se codesto pesce era davvero così grosso, sarebbe passato Gino prima di te e l'avrebbe pescato lui".