17 febbraio 1904: Madama Butterfly cade clamorosamente alla
sua prima al Teatro alla Scala. Dopo due prime a Torino e una a Roma, la Scala
viene scelta per dare la nuova opera di Puccini, e il clamoroso insuccesso
rimarrà negli annali del teatro.
I critici, il giorno dopo, trovarono vari motivi
all’insuccesso; primo, il moltiplicarsi delle trovate di colore locale
giapponese che diluiscono l’azione e che in seguito furono progressivamente
eliminati. Secondo, il tema all’entrata di Butterfly fu giudicato troppo simile
al quartetto della Bohème – e dalla versione di Brescia in poi Puccini inverte
un paio di note di questo tema, ogni volta che si presenta, per cambiarne la
fisionomia. Una terza critica è la più sostanziale e anche la più assurda:
Puccini nel comporre usa dei motivi conduttori, ripetuti variandoli ogni volta,
e con il quale il pubblico si familiarizza rapidamente; questo venne percepito
come un espediente per risparmiare fatica quando invece è proprio il bello
della composizione pucciniana – sembrerebbe quasi che per i critici si dovesse
tornare indietro all’opera a numeri staccati, ognuno musicalmente indipendente.
Quarta critica, la lunghezza eccessiva del secondo atto.
Ma per quanti difetti potesse avere la prima versione di
Butterfly, non era comunque così brutta da giustificare zittii e rumori del
pubblico tanto forti da coprire il suono dell’orchestra e un comportamento
complessivamente incivile. Nessuno ha mai spiegato in maniera soddisfacente che
cosa sia avvenuto, ma tutto lascia pensare a contestazioni preordinate. In un
articolo non firmato ma probabilmente di Giulio Ricordi stesso, si sostenne che
lo spettacolo in sala era stato organizzato con altrettanta cura di quello sul
palcoscenico, tant’è vero che le contestazioni iniziarono dal primo minuto. C’è
chi ha ipotizzato una gazzarra organizzata dalla Sonzogno, la casa editrice
rivale di Ricordi, che fino a qualche anno prima aveva gestito in proprio la
stagione della Scala con lo scopo di escludere i compositori Ricordi, e aveva
anche rischiato il fallimento a causa della gestione teatrale; ma chi avrebbe
davvero organizzato la contestazione,
questo non lo si è mai accertato. Se anche ci fosse stata una claque
maldisposta e ostile, comunque anche il resto del pubblico perse ogni inibizione
e partecipò alla gazzarra.
Il fiasco di Madama Butterfly si affianca al fiasco di Norma
che pure ebbe un clamoroso insuccesso alla sua prima scaligera. Ora, so di
toccare un punto sensibile e che alcuni amici che lavorano in quel teatro mi
stanno leggendo; ma se la Scala in certi momenti della sua storia, segnatamente
sotto Toscanini, ha toccato dei vertici che ne facevano il primo teatro del
mondo sotto il punto di vista artistico, ha avuto pure nella sua storia lunghi
anni di gestione mediocre e qualche infortunio di portata storica. Una cattiva
messa in scena della Giovanna d’Arco nel 1845 indusse Verdi a lasciare la
Scala, facendo addirittura aggiungere nel suo contratto con Ricordi una
postilla: mentre la casa Ricordi poteva trattare le condizioni di
rappresentazione con i singoli teatri in autonomia, per eventuali
rappresentazioni alla Scala sarebbe stato sempre necessario l’assenso
preventivo ed esplicito del Verdi. Verdi che tornò alla Scala solo nel 1869.
C’è da dire che il Verdi era molto sensibile, e un paio di discussioni con una
orchestra svogliata durante le prime letture del Don Carlos furono motivo
sufficiente per non mettere più piede neanche all’Opera di Parigi.
Ma il caso del Verdi è diverso: la sua Giovanna d’Arco si
era trovata in un momento di crisi generalizzata, soprattutto economica, della
Scala e questo aveva avuto peso nella sciatteria delle rappresentazioni.
Diverso è il caso di Norma e Butterfly, di pubblici che ad onta di compagnie
eccellenti e rappresentazioni curate rifiutano di apprezzare lavori che le
generazioni a venire definiranno geniali. Questo fa parte del mistero e anche
del fascino del teatro: per il modico costo di un biglietto, si compra il
diritto di dissentire, ma eventualmente anche di rendersi ridicoli agli occhi
della storia.
Un critico (Achille Tedeschi detto Leporello) osservò che
Puccini, nel ritirare immediatamente l’opera dalle scene all’indomani della
infelice prima, le aveva tolto la possibilità di rivincita: anche la Norma
inizialmente fischiata aveva poi avuto trentatré recite applaudite; e che il
pubblico della Scala si sarebbe rapidamente ricreduto nei confronti di una
Butterfly che poteva avere qualche difetto ma era il frutto di una ispirazione
sincera. Io penso che il pubblico intero – e non solo la claque – si sia
comportato in maniera così villana e indisponente da non meritare un secondo
appello; e si noti che il ritirare lo spartito volle dire per gli autori
rinunciare a 20000 lire di anticipo (in termini odierni, diciamo qualcosa come
800mila euro) e per la Scala scompaginare completamente il calendario - quindi
anche se rapida non fu decisione presa alla leggera.
Un dettaglio della sera spesso viene male interpretato. Un
movimento brusco causò il gonfiarsi del costume di Butterfly – Rosina Storchio
– e una voce dal loggione urlò: Butterfly è incinta. Su questo diversi
commentatori hanno romanzato, ma il significato è chiaro. La Storchio non era
incinta al momento della recita, ma l’anno precedente in gran segreto aveva
avuto un figlio da Toscanini. Il povero bambino era handicappato e morirà a 16
anni. La battuta non voleva colpire Puccini ma la Storchio e Toscanini.
In realtà Puccini alla Scala non aveva avuto vita facile
neanche in precedenza. Un allestimento di Bohème nel dicembre 1900 non era
stato fischiato ma aveva lasciato completamente freddo il pubblico – nonostante
ci fosse sul podio Toscanini e il ruolo di Rodolfo fosse l’esordio di Caruso
alla Scala; Caruso che peraltro non stava bene. Per quando Caruso fu guarito e
l’opera applaudita, Puccini se ne era già tornato a Torre del Lago a spegnere
il nervoso con la caccia. Memore anche di una Tosca scaligera sempre nel 1900,
Puccini parlava del pubblico di quel teatro come di un “superpubblico” che
evidentemente non apprezzava anche lavori che altrove riscuotevano grandi
successi.
Dopo il fiasco di Butterfly, Ricordi presentò alla Scala le
opere di Puccini con estrema prudenza. Negli anni in cui il Puccini era il
compositore italiano di punta, ne furono date solo quattro opere dal 1904 al
1921, e cinque allestimenti dal 1922 al 1924 cioè sotto Toscanini. Dopo la
disastrosa prima del 1904, la seconda recita di Butterfly alla Scala fu nel
1925 con Toscanini ed il pubblico non potè esimersi dall’applaudirla. Ma
Puccini non c’era già più.
Questo non vuol dire che le opere di Puccini non si dessero
a Milano: Butterfly fu ripresa già nel 1905 al teatro Dal Verme. Nelle
principali città i teatri d’opera erano più di uno e capitava non di rado che
il secondo teatro avesse un repertorio più progressista del primo; non
necessariamente il teatro maggiore era il migliore ed il più aperto alle
novità, anzi. A Parigi Puccini arrivò quasi a monopolizzare l’Opera Comique
prima di essere preso in considerazione all’Opera. A Vienna Puccini arrivò molto prima al
Theater an der Wien; e all’opera di corte (quella che adesso è la Staatsoper)
solo dopo l’abbandono di Mahler che non lo aveva simpatia. – E passato Mahler,
salvo la forzata interruzione della guerra mondiale, l’opera di Vienna divenne
uno dei teatri preferiti di Puccini e Puccini uno dei preferiti del pubblico.
Dopo l’insuccesso alla Scala, Puccini allestì una seconda
versione dell’opera per Brescia, con numerose modifiche. Il secondo atto,
troppo lungo, fu spezzato in due. Molte cose furono tagliate, alcune aggiunte,
altre modificate. Il motivo che ricordava un po’ Boheme fu modificato nel
contorno melodico. Ma non fu nemmeno questa la versione definitiva; Puccini
continuò a sperimentare, togliendo ed aggiungendo episodi nei vari allestimenti;
difficile anche solo tenere il conto di queste versioni. La versione finale,
quella che si sente oggi, è una ulteriore versione, quella del 1906 per l’Opera
Comique di Parigi. Nell’occasione la prima donna era la moglie del
sovrintendente Carrè e Puccini le aveva assegnato, pentendosene subito dopo,
l’esclusiva per la Francia su alcuni dei suoi titoli per un certo periodo.
Madame Carré era un soprano passabile ma non eccezionale – Puccini l’aveva
soprannominata “Madame Pomme-de-terre” (patata); non poteva ovviamente essere
sostituita, e suo marito chiese fin dal principio un certo numero di tagli
temendo che la signora non riuscisse ad arrivare alla fine dell’opera. In
passato Puccini avrebbe fatto fuoco e fiamme, ma incredibilmente Puccini e
Carrè si misero d’accordo sulla nuova versione in un solo pomeriggio,
probabilmente perché Puccini aveva già sperimentato molti possibili tagli nelle
diverse riprese ed era arrivato lui stesso alla conclusione che Butterfly
dovesse essere scorciata. Mentre la Butterfly milanese, e anche quella di
Brescia in minore misura, era un’opera sullo scontro fra due mondi, quello
giapponese e quello occidentale, che non si capiscono, la Butterfly parigina,
che poi sarebbe la nostra, è il dramma di una donna schiacciata dal precipitare
degli eventi ma che non rinuncia alla sua dignità: con onor muore chi non può
serbar vita con onore.
Carrè, a dire il vero, chiese delle modifiche non solo per
facilitare il ruolo della moglie ma anche convinto di dare maggiore intensità
allo spettacolo. Per esempio, la grande aria di Butterfly nel secondo atto
prima di Parigi narrava di un sogno di Butterfly che vedeva suo figlio alla
corte dell’imperatore. Fu Carrè a chiedere che fossero cambiate le parole. Le
parole furono cambiate, retrospettivamente, anche nella versione italiana (“E
Butterfly, orribile destino, danzerà per te”) e sono diventate quelle
definitive: qui capiamo che il destino finale di Butterfly è la morte, non
potendo accettare il destino che le circostanze vorrebbero imporle.
C’è chi sostiene che da nessuna parte Puccini designa la
versione di Parigi come definitiva. Di fatto, si stancò di modificarla ed
accettò che diventasse definitiva.
Un’ultima osservazione. Butterfly è una delle opere più
amate dal pubblico, ma ha conquistato lentamente questo status. Lo stesso
Giulio Ricordi non credeva realmente nelle potenzialità dell’opera e la credeva
un passo indietro rispetto a Bohème e Tosca, quando invece la storia ci ha
dimostrato che è un’opera che ha le stesse potenzialità, se non maggiori, delle
sue sorelle. In prima lettura, Ricordi aveva approvato il soggetto anzi se ne
era detto talmente commosso che alla prima lettura non era riuscito a dormirci
sopra di notte. Ma nella realtà avrebbe preferito una realizzazione più
tradizionale dell’opera – a lui lo schema di Illica in tre atti con l’atto del
consolato nel mezzo sarebbe andato più che bene, e lo schema in due atti con il
secondo atto lungo non lo convinceva – sarebbe stata infatti una causa
dell’insuccesso della Scala. Aggiungiamoci poi la questione personale con
Puccini, che aveva perso la testa per la giovane Cori, mentre Ricordi era
convinto che quella relazione lo portasse alla rovina umana ed artistica.
Questa crisi dei rapporti fra il signor Giulio ed il signor Giacomo penso che
non sia stata mai superata, tanto più che Butterfly ha avuto, dopo il botto
iniziale, un avvio positivo ma lento con il pubblico. Ancora a fine 1906,
Ricordi poteva lamentarsi con Puccini che le entrate di Butterfly non avevano
ancora pareggiato le spese – e questo era anche un implicito rimprovero a
Puccini che anziché scrivere musica andava troppo in giro a seguire gli
allestimenti, spendendo un sacco di soldi di spese di rappresentanza. Ricordi
era convinto che Puccini dovesse riscattarsi scrivendo un bell’operone
grandioso di soggetto storico, per esempio una “Maria Antonietta” che l’Illica
cercò di sceneggiare in tutti i possibili modi; o un bel drammone su libretto
di D’Annunzio, ipotesi che pure non andrà mai in porto.
Insomma, sia che la vediamo dal punto di vista della vicenda
personale, che dal punto di vista artistico e professionale, Butterfly di fatto
chiude un capitolo della vita di Puccini. Puccini non ne esce bene: dopo
Butterfly, terminata fine dicembre 1903, ricomincerà a scrivere musica nel
1908.
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