Antonio Puccini detto Tonio, figlio di Giacomo ed Elvira
Bonturi/Gemignani, nasce il 23 dicembre 1886 a Monza, in una casa di ringhiera
di quello che oggi si chiama Corso Milano. Dato che Puccini era stato chiamato
Giacomo in memoria del suo antenato dallo stesso nome (1712-1781), non stupisce
che abbia chiamato suo figlio Antonio in memoria dell’Antonio (1747-1832)
figlio di detto Giacomo. Tutti maestri di cappella del Duomo di Lucca.
Ricordiamo che mamma Elvira era sposata, ma non con Puccini: quando la
gravidanza non si potè più tenere celata fu organizzata la fuga degli amanti da
Lucca e la persona che più contribuì ad organizzarla fu Ferdinando Fontana, il
librettista de “Le Villi” e “Edgar”, che in quegli anni fu l’amico più fedele
di Puccini. Fontana prima sistemò gli amanti vicino alla sua casa di Caprino
Bergamasco, poi trovò la casa di Monza, più defilata rispetto a Milano. Almeno
nella fase iniziale, Puccini ed Elvira avevano paura di una reazione, se non
violenta, almeno decisa di Narciso Gemignani, legittimo marito di Elvira, che
in teoria avrebbe potuto farla arrestare quale adultera per l’abbandono del
tetto coniugale. Per cui furono messe in giro voci false ad arte, che Elvira
era scappata a Palermo. Puccini nelle sue lettere alla famiglia – e le sue
sorelle non è che approvassero gran che l’idea di fare un figlio con Elvira –
mostra una certa paura che a Gemignani possa arrivare una traccia di dove sia
finita Elvira: raccomanda strettamente di tenere segreto il suo indirizzo, di
non nominare neanche Monza e di impostare tutta la corrispondenza alla stazione
di Lucca, dove la cassetta veniva vuotata da personale della ferrovia dalla
disciplina paramilitare, piuttosto che in città dove le cassette venivano
svuotate da postini lucchesi sulla cui riservatezza non c’era da scommettere.
Di Antonio Puccini, tutto sommato, non si sa molto. E’ una
figura piuttosto pallida – sua figlia Simonetta, recentemente scomparsa, ha più
ostacolato che favorito gli studi. Per esempio Giorgio Magri, che ha scritto un
libro sull’uomo Puccini piuttosto documentato e con molta simpatia nei
confronti del compositore, ha dovuto sopprimere l’intero capitolo sul figlio
proprio per l’opposizione di Simonetta. Vedo che viceversa Schickling ha
filtrato diverse notizie su Antonio recentemente emerse, ma lo ha fatto in
pubblicazioni tedesche e non in Italia.
L’infanzia di Antonio Puccini non deve essere stata
felicissima. Come ho già scritto altre volte, almeno fino al 1893 la situazione
patrimoniale di Puccini era precaria, e più di una volta la famiglia si è
dovuta scomporre perché Puccini non aveva abbastanza soldi da dar da mangiare a
tutti. Ma mentre Fosca, benché affidata alla madre fuggitiva, era figlia
legittima di Elvira e del Gemignani ed accettata da tutti, Antonio era il
figlio della colpa e anche alcuni parenti non volevano avere a che fare con lui,
benché fosse solo un bambino. Una volta Elvira cercò riparo dalla sorella Ida a
Firenze ma non si potè fare per l’opposizione della madre di ambedue. Da
un’altra lettera si capisce che Ramelde Puccini, sorella minore di Giacomo, aveva
rifiutato di tenere Antonio in casa sua, anzi non voleva neanche vederlo, e
alla fine se lo era preso in casa la sorella maggiore Tomaide; e che il tenore
di una precedente lettera di Ramelde andata perduta deve essere stato
particolarmente sgradevole. Sappiamo che Antonio ha passato alcuni anni
dell’infanzia in un collegio di Varese. Lo troviamo poi a Torre del Lago quando
Puccini vi si trasferisce con Elvira e Fosca, per rientrare poi in collegio a
San Gallo, credo nel 1902. Il motivo lo spiega Schickling da una lettera
tuttora inedita e segretata: Puccini era un genitore severissimo, e scoprendo a
letto il sedicenne Antonio con una cameriera, si era arrabbiato moltissimo,
aveva cacciato la cameriera e chiuso Antonio in collegio. I lettori più attenti
osserveranno che nel 1902 Puccini andava a letto con Cori, che ad occhio di
anni doveva averne poco meno di 20, ma evidentemente Puccini non insegnava con
il buon esempio.
Antonio era assolutamente negato per la musica. In un
celebre aneddoto Puccini padre gli regala un violinetto e dopo qualche giorno
lo trova adattato a barchetta a galleggiare sul lago di Massaciuccoli; al che
Puccini capisce che la gloriosa stirpe dei Puccini musicisti sarebbe terminata
con lui. Puccini cercò di avviare il figlio agli studi tecnici, iscrivendolo alla
prestigiosa università tecnica di Mittweida in Sassonia. Schickling ha
ritrovato tutti i documenti del fallimentare corso di studio di Antonio; sembra
che oltre alle difficoltà della matematica non capisse più di tanto il tedesco
delle lezioni (ma per altre cose il tedesco Antonio lo capiva più che bene). L’abbandono
degli studi a Mittweida corrisponde con la separazione dei genitori in
occasione dell’affare Doria Manfredi, quindi ai primi mesi del 1909: una
ulteriore crisi da affrontare per Puccini padre, oltre al suicidio della
cameriera e alla separazione dalla moglie. Antonio si trovò in questo caso
schiacciato fra due genitori ognuno di personalità fortissima ed in conflitto
fra di loro. Rifiutò anche gli impieghi nel campo allora particolarmente
glamour dell’automobilismo che il padre gli aveva trovato e considerò anche di
emigrare in Africa, di fatto poi si riunì con la famiglia. Apparentemente
Puccini pensava di attrarre l’attenzione del figlio con studi o lavori in un
campo di avanguardia, ma si vede che Antonio era refrattario a questi stimoli.
Un successivo passaggio è emerso abbastanza di recente. Ne
parla Puccini in alcune lettere a Sybil Seligman che però furono pesantemente
censurate da Vincent nel suo libro. Le lettere sono andate in asta neanche un
mese fa da Sotheby a Londra e le riproduzioni nel catalogo, sebbene incomplete,
sono abbastanza leggibili. Antonio andò militare durante la guerra, ma grazie
all’influenza del babbo ottenne un posto abbastanza tranquillo nelle retrovie.
Tornato a casa per una licenza nel 1918, tentò il suicidio “per una
malafemmina” bevendo laudano. Altrove la
stessa signorina è descritta come “una poco di buono”. Puccini scrive a Sybil
che il figlio è un debole, ma è un giudizio ingeneroso considerato che per
reggere un padre e una madre simili, nemmeno singolarmente ma in coppia,
sarebbe stata necessaria una personalità di forza eccezionale. Ad Antonio si
può dare la colpa di essere stato un ragazzo normale, probabilmente non troppo
brillante, in una famiglia dove di normale non c’era nulla e con un padre anche
troppo brillante. Puccini faceva leva sulla sua posizione e sul cospicuo
patrimonio per cercare di risolvere i problemi inclusi quelli di Antonio, ma
evidentemente non tutti i problemi si possono risolvere a base di soldi e
raccomandazioni. Abbiamo motivo di credere che Elvira fosse molto materna nei
confronti dei figli, però i conflitti ricorrenti con il marito mettevano
Antonio in posizione imbarazzante.
Non sappiamo chi fosse la malafemmina, sappiamo che Antonio
aveva il progetto di sposarsi contro il volere del padre più o meno intorno al
1920 – ignoriamo se la prescelta fosse la stessa malafemmina di prima o un’altra
giovane, ma il progetto sfumò per la prematura morte di lei; non possiamo certo
dire che Antonio fosse fortunato. Troviamo qualche cenno di questo in una
lettera a Giulia Manfredi in cui Puccini si dichiara molto contrariato dall’
“affare di Tonio”: evidentemente la Manfredi sapeva esattamente di che cosa si
trattava, e così pure Puccini sembrava fidarsi più di lei che del figlio.
Dopo il 1920 Antonio interpretò il ruolo del figlio fedele,
il “signorino” come lo chiamava la servitù. A lui spetta l’ingrato compito di
ricevere la diagnosi del tumore alla gola che era in pratica una sentenza di
morte, che venne tenuta nascosta sia a Puccini che ad Elvira. Antonio
accompagna Puccini nel suo ultimo viaggio, raggiunto solo in extremis da Fosca
che era rimasta a Milano ad accudire Elvira che pure non stava bene.
Dopo la morte di Puccini Antonio rimane erede universale,
sia della sua quota che poi di quella di Elvira. Ha una figlia illegittima da
una ballerina, non riconosciuta, e sarebbe la signora Simonetta nata nel 1929 e
scomparsa la scorsa settimana. Nel 1933 sposa Rita Dall’Anna; quando Antonio
muore nel 1946, senza figli legittimi, la signora Dall’Anna rimane erede
universale di Puccini.
Quello che succede dopo ve lo racconto ma non sono sicuro di
averlo capito del tutto, tanto è complessa la vicenda. L’eredità Puccini è un
pozzo senza fondo perché tuttora ci sono opere (Trittico e Turandot) che
generano proventi per diritti d’autore, le opere su libretto di Forzano saranno
le ultime a scadere presumibilmente nel 2040. Quando muore la D’Anna nel 1979,
ella lascia tutto in eredità a suo fratello Livio, anche lui senza figli; Livio
nel morire lascia tutto al suo maggiordomo Pasquale Belladonna, che peraltro
avendo la procura sul conto in banca aveva già speso cifre ingenti. Il
maggiordomo, a sua volta, lascia erede un nipote.
La signora Simonetta nel frattempo inizia una battaglia
legale per essere riconosciuta quale figlia di Antonio Puccini; nel 1973
ottiene il diritto di portare il cognome Puccini e un vitalizio a carico della
D’Anna; ai sensi del nuovo diritto di famiglia che abolisce la distinzione fra
figli legittimi ed illegittimi nel 1995 ottiene dal tribunale un terzo
dell’eredità di Antonio, includendo in detta quota la casa di Torre del Lago.
Se ho ben capito la D’Anna morendo aveva lasciato un testamento non registrato
in cui una quota veniva destinata alla fondazione Puccini, nel 2008 la
fondazione ottiene il riconoscimento del testamento e diventa pertanto
proprietaria della villa di Viareggio (peraltro in pessime condizioni) e,
credo, di una quota di diritti. Nel frattempo un cospicuo numero di parenti
(22, credo) del Belladonna fanno causa al nipote che aveva ereditato sostenendo
che all’epoca del testamento il Belladonna non fosse capace di intendere e di
volere, questa causa si sta ancora trascinando ma una quota di diritti andrà
anche in questa direzione. Le ultime notizie vogliono annullato l’ultimo
testamento del Belladonna e resuscitato un testamento precedente, per cui si
andrà alla spartizione fra i 22 nipoti. Una scena che sembra presa dal Gianni
Schicchi: ma come sempre quando si tratta Puccini, nemmeno il più fantasioso
degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare la realtà.
Molto più difficile sarebbe il discorso sull’eredità
artistica di Puccini. Doloroso da dirsi, ma con l’arte di Puccini la famiglia
ha poco da spartire. Nulla aveva da spartire Elvira, sostanzialmente estranea
all’arte del marito; ancora meno Antonio. Anche Fosca, figliastra di Puccini,
che in quella casa sembrava la più accorta, niente aveva da dire sui motivi
profondi dell’arte del maestro. – Non che questo ci si aspetti dalla famiglia
di un compositore: sono veramente poche le consorti di un compositore che ne
siano in qualche maniera partecipi del processo creativo; i nomi che mi vengono
in mente potrebbero essere Anna Magdalena Bach e Clara Schumann. Anche la
Strepponi, che fu la moglie ideale per Verdi e per certi periodi ne fu quasi la
segretaria, si ritraeva davanti al mistero di una mente che crea la musica dal
nulla.
Paradossalmente, il processo creativo delle opere di Puccini
era quasi un lavoro collettivo: Puccini si trovava al suo meglio quando poteva
frustare i suoi librettisti e sfidarli a continui ripensamenti ed affinamenti.
Molte sono le confindenze e le corrispondenze, sia con Sybil Seligman che con
Illica, Ricordi, Giacosa, Adami, Forzano ed altri in materia sia di possibili
soggetti che dell’effettiva stesura dei libretti. Però il momento della
creazione della musica, che è un lavoro lento e sfibrante, di continui
tentativi e ripensamenti – a maggior ragione per i compositori che si sono
trovati a vivere in epoche dove il linguaggio musicale non sia standardizzato –
è un momento troppo personale, che difficilmente può essere condiviso. Puccini
spesso componeva in compagnia degli amici, che non lo disturbavano, purché
ignorassero del tutto la sua presenza e non commentassero quello che stava
facendo. Una cosa questa che, penso, può capire solo chi ha scritto musica in
proprio.
Puccini non ha avuto allievi, a parte qualche lezione
privata in gioventù, incluso forse qualche pericolosa lezione alla giovane
signora Elvira, e l’ungherese Ervin Lendvai che gli fu mandato, visse anche a
Torre del Lago ma che poi non si dedicò alla composizione. (Puccini era molto
affezionato alla sorella di Lendvai, Blanka, fino a quando – apprendiamo da una
lettera di Ervin – Elvira fece un bel repulisti gettando nella spazzatura tutte
le lettere e le foto che Blanka aveva inviato.) Puccini non ha neanche
successori; egli stesso fu scelto da Ricordi quale ideale successore di Verdi,
ed ha ripagato ad usura la fiducia che la Casa gli volle accordare, ma in
definitiva Puccini stesso chiude con Turandot un capitolo della storia della
musica. Se un seguito si vuole trovare a Puccini, a mio avviso bisogna cercarlo
più nel cinema che nella musica.
La signora Simonetta, sentendosi a pienissimo titolo unica
erede di Puccini, da una parte ha compiuto delle operazioni meritorie –
segnalo, per dirne due, le edizioni delle lettere di Fontana Puccini e di
Puccini a Schnabl – e da quell’altra parte ha tentato di orientare le ricerche
pucciniane in senso a lei gradito; per esempio chiedendo che alcune lettere non
vengano pubblicate nell’edizione completa dell’epistolario - il che non ha
comunque molto senso, visto che il testo della maggior parte di esse è disponibile
da qualche altra parte. C’è da dire comunque che quando la maggior parte delle
carte di Puccini erano nelle mani della Dall’Anna, è stato possibile agli
studiosi accedervi con maggiore facilità che non negli ultimi tempi. Con la
scomparsa di Simonetta si apre adesso una fase di incertezza ulteriore. Non mi
è difficile predire che presumibilmente carte e beni immobili passeranno a
qualche istituzione, bisogna vedere come questo avviene. E non mi è difficile
predire che, non essendoci più nessuno titolato ad impedire la pubblicazione,
non ci saranno probabilmente in futuro più segreti su alcuni passaggi
biografici. Alcune cose, viceversa, non avranno mai risposta definitiva. Per
esempio, la questione se il padre del
figlio di Giulia Manfredi fosse davvero Puccini non potrà essere risolta: la
legge italiana non consente ai discendenti di un supposto figlio illegittimo di
chiedere accertamenti. Lo stesso succederà con i discendenti di Renato
Gemignani che qualcuno pure sospetta figlio di Puccini. C’è da dire che mi sembra
che a Torre del Lago ci sia stata per molti anni una psicosi pucciniana, per
cui era titolo di nobiltà vantare che la propria nonna era stata con Puccini, e
mi sembra che i maschi si facessero crescere i baffi per poter vantare una
somiglianza con Puccini che in almeno un caso è diventata parentela ipotetica.
Simonetta ha troncato nettamente questi tentativi di allargare la discendenza
Puccini.
In una cosa Simonetta ha seguito la tradizione di famiglia,
già inaugurata da Rita Dall’Anna e dalla stessa Fosca: nominare Doria Manfredi
non era gradito. Possiamo capire Fosca – le lettere alla Seligman che sono
filtrate senza censura ci fanno sospettare che Fosca avesse a che fare con la
fine di Doria – ma oltre un secolo dopo i fatti la censura non è accettabile.
L’affare Doria pesa come un macigno non solo sulla vita di Puccini ma anche
sulla sua creazione musicale. Non si può pretendere nel 21° secolo di fare come
Adami e Gara che nel pubblicare i loro epistolari saltano un anno intero come
se in quell’anno non fosse successo nulla.
Come ho già scritto tempo fa, Antonio fece allestire una
sorta di mausoleo per i genitori al piano terreno della villa di Torre del
Lago, e lui stesso riposa per sempre insieme con loro. Sia pace su una famiglia
che, in vita, di pace ne ebbe poca. Leggo che a breve si aggiungeranno anche le
ceneri di Simonetta. Con questo, dichiariamo chiusa la famiglia Puccini.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina