22/12/17

Antonio Puccini

Antonio Puccini detto Tonio, figlio di Giacomo ed Elvira Bonturi/Gemignani, nasce il 23 dicembre 1886 a Monza, in una casa di ringhiera di quello che oggi si chiama Corso Milano. Dato che Puccini era stato chiamato Giacomo in memoria del suo antenato dallo stesso nome (1712-1781), non stupisce che abbia chiamato suo figlio Antonio in memoria dell’Antonio (1747-1832) figlio di detto Giacomo. Tutti maestri di cappella del Duomo di Lucca. Ricordiamo che mamma Elvira era sposata, ma non con Puccini: quando la gravidanza non si potè più tenere celata fu organizzata la fuga degli amanti da Lucca e la persona che più contribuì ad organizzarla fu Ferdinando Fontana, il librettista de “Le Villi” e “Edgar”, che in quegli anni fu l’amico più fedele di Puccini. Fontana prima sistemò gli amanti vicino alla sua casa di Caprino Bergamasco, poi trovò la casa di Monza, più defilata rispetto a Milano. Almeno nella fase iniziale, Puccini ed Elvira avevano paura di una reazione, se non violenta, almeno decisa di Narciso Gemignani, legittimo marito di Elvira, che in teoria avrebbe potuto farla arrestare quale adultera per l’abbandono del tetto coniugale. Per cui furono messe in giro voci false ad arte, che Elvira era scappata a Palermo. Puccini nelle sue lettere alla famiglia – e le sue sorelle non è che approvassero gran che l’idea di fare un figlio con Elvira – mostra una certa paura che a Gemignani possa arrivare una traccia di dove sia finita Elvira: raccomanda strettamente di tenere segreto il suo indirizzo, di non nominare neanche Monza e di impostare tutta la corrispondenza alla stazione di Lucca, dove la cassetta veniva vuotata da personale della ferrovia dalla disciplina paramilitare, piuttosto che in città dove le cassette venivano svuotate da postini lucchesi sulla cui riservatezza non c’era da scommettere.

Di Antonio Puccini, tutto sommato, non si sa molto. E’ una figura piuttosto pallida – sua figlia Simonetta, recentemente scomparsa, ha più ostacolato che favorito gli studi. Per esempio Giorgio Magri, che ha scritto un libro sull’uomo Puccini piuttosto documentato e con molta simpatia nei confronti del compositore, ha dovuto sopprimere l’intero capitolo sul figlio proprio per l’opposizione di Simonetta. Vedo che viceversa Schickling ha filtrato diverse notizie su Antonio recentemente emerse, ma lo ha fatto in pubblicazioni tedesche e non in Italia.

L’infanzia di Antonio Puccini non deve essere stata felicissima. Come ho già scritto altre volte, almeno fino al 1893 la situazione patrimoniale di Puccini era precaria, e più di una volta la famiglia si è dovuta scomporre perché Puccini non aveva abbastanza soldi da dar da mangiare a tutti. Ma mentre Fosca, benché affidata alla madre fuggitiva, era figlia legittima di Elvira e del Gemignani ed accettata da tutti, Antonio era il figlio della colpa e anche alcuni parenti non volevano avere a che fare con lui, benché fosse solo un bambino. Una volta Elvira cercò riparo dalla sorella Ida a Firenze ma non si potè fare per l’opposizione della madre di ambedue. Da un’altra lettera si capisce che Ramelde Puccini, sorella minore di Giacomo, aveva rifiutato di tenere Antonio in casa sua, anzi non voleva neanche vederlo, e alla fine se lo era preso in casa la sorella maggiore Tomaide; e che il tenore di una precedente lettera di Ramelde andata perduta deve essere stato particolarmente sgradevole. Sappiamo che Antonio ha passato alcuni anni dell’infanzia in un collegio di Varese. Lo troviamo poi a Torre del Lago quando Puccini vi si trasferisce con Elvira e Fosca, per rientrare poi in collegio a San Gallo, credo nel 1902. Il motivo lo spiega Schickling da una lettera tuttora inedita e segretata: Puccini era un genitore severissimo, e scoprendo a letto il sedicenne Antonio con una cameriera, si era arrabbiato moltissimo, aveva cacciato la cameriera e chiuso Antonio in collegio. I lettori più attenti osserveranno che nel 1902 Puccini andava a letto con Cori, che ad occhio di anni doveva averne poco meno di 20, ma evidentemente Puccini non insegnava con il buon esempio.

Antonio era assolutamente negato per la musica. In un celebre aneddoto Puccini padre gli regala un violinetto e dopo qualche giorno lo trova adattato a barchetta a galleggiare sul lago di Massaciuccoli; al che Puccini capisce che la gloriosa stirpe dei Puccini musicisti sarebbe terminata con lui. Puccini cercò di avviare il figlio agli studi tecnici, iscrivendolo alla prestigiosa università tecnica di Mittweida in Sassonia. Schickling ha ritrovato tutti i documenti del fallimentare corso di studio di Antonio; sembra che oltre alle difficoltà della matematica non capisse più di tanto il tedesco delle lezioni (ma per altre cose il tedesco Antonio lo capiva più che bene). L’abbandono degli studi a Mittweida corrisponde con la separazione dei genitori in occasione dell’affare Doria Manfredi, quindi ai primi mesi del 1909: una ulteriore crisi da affrontare per Puccini padre, oltre al suicidio della cameriera e alla separazione dalla moglie. Antonio si trovò in questo caso schiacciato fra due genitori ognuno di personalità fortissima ed in conflitto fra di loro. Rifiutò anche gli impieghi nel campo allora particolarmente glamour dell’automobilismo che il padre gli aveva trovato e considerò anche di emigrare in Africa, di fatto poi si riunì con la famiglia. Apparentemente Puccini pensava di attrarre l’attenzione del figlio con studi o lavori in un campo di avanguardia, ma si vede che Antonio era refrattario a questi stimoli.

Un successivo passaggio è emerso abbastanza di recente. Ne parla Puccini in alcune lettere a Sybil Seligman che però furono pesantemente censurate da Vincent nel suo libro. Le lettere sono andate in asta neanche un mese fa da Sotheby a Londra e le riproduzioni nel catalogo, sebbene incomplete, sono abbastanza leggibili. Antonio andò militare durante la guerra, ma grazie all’influenza del babbo ottenne un posto abbastanza tranquillo nelle retrovie. Tornato a casa per una licenza nel 1918, tentò il suicidio “per una malafemmina” bevendo laudano.  Altrove la stessa signorina è descritta come “una poco di buono”. Puccini scrive a Sybil che il figlio è un debole, ma è un giudizio ingeneroso considerato che per reggere un padre e una madre simili, nemmeno singolarmente ma in coppia, sarebbe stata necessaria una personalità di forza eccezionale. Ad Antonio si può dare la colpa di essere stato un ragazzo normale, probabilmente non troppo brillante, in una famiglia dove di normale non c’era nulla e con un padre anche troppo brillante. Puccini faceva leva sulla sua posizione e sul cospicuo patrimonio per cercare di risolvere i problemi inclusi quelli di Antonio, ma evidentemente non tutti i problemi si possono risolvere a base di soldi e raccomandazioni. Abbiamo motivo di credere che Elvira fosse molto materna nei confronti dei figli, però i conflitti ricorrenti con il marito mettevano Antonio in posizione imbarazzante.

Non sappiamo chi fosse la malafemmina, sappiamo che Antonio aveva il progetto di sposarsi contro il volere del padre più o meno intorno al 1920 – ignoriamo se la prescelta fosse la stessa malafemmina di prima o un’altra giovane, ma il progetto sfumò per la prematura morte di lei; non possiamo certo dire che Antonio fosse fortunato. Troviamo qualche cenno di questo in una lettera a Giulia Manfredi in cui Puccini si dichiara molto contrariato dall’ “affare di Tonio”: evidentemente la Manfredi sapeva esattamente di che cosa si trattava, e così pure Puccini sembrava fidarsi più di lei che del figlio.

Dopo il 1920 Antonio interpretò il ruolo del figlio fedele, il “signorino” come lo chiamava la servitù. A lui spetta l’ingrato compito di ricevere la diagnosi del tumore alla gola che era in pratica una sentenza di morte, che venne tenuta nascosta sia a Puccini che ad Elvira. Antonio accompagna Puccini nel suo ultimo viaggio, raggiunto solo in extremis da Fosca che era rimasta a Milano ad accudire Elvira che pure non stava bene.

Dopo la morte di Puccini Antonio rimane erede universale, sia della sua quota che poi di quella di Elvira. Ha una figlia illegittima da una ballerina, non riconosciuta, e sarebbe la signora Simonetta nata nel 1929 e scomparsa la scorsa settimana. Nel 1933 sposa Rita Dall’Anna; quando Antonio muore nel 1946, senza figli legittimi, la signora Dall’Anna rimane erede universale di Puccini.

Quello che succede dopo ve lo racconto ma non sono sicuro di averlo capito del tutto, tanto è complessa la vicenda. L’eredità Puccini è un pozzo senza fondo perché tuttora ci sono opere (Trittico e Turandot) che generano proventi per diritti d’autore, le opere su libretto di Forzano saranno le ultime a scadere presumibilmente nel 2040. Quando muore la D’Anna nel 1979, ella lascia tutto in eredità a suo fratello Livio, anche lui senza figli; Livio nel morire lascia tutto al suo maggiordomo Pasquale Belladonna, che peraltro avendo la procura sul conto in banca aveva già speso cifre ingenti. Il maggiordomo, a sua volta, lascia erede un nipote.

La signora Simonetta nel frattempo inizia una battaglia legale per essere riconosciuta quale figlia di Antonio Puccini; nel 1973 ottiene il diritto di portare il cognome Puccini e un vitalizio a carico della D’Anna; ai sensi del nuovo diritto di famiglia che abolisce la distinzione fra figli legittimi ed illegittimi nel 1995 ottiene dal tribunale un terzo dell’eredità di Antonio, includendo in detta quota la casa di Torre del Lago. Se ho ben capito la D’Anna morendo aveva lasciato un testamento non registrato in cui una quota veniva destinata alla fondazione Puccini, nel 2008 la fondazione ottiene il riconoscimento del testamento e diventa pertanto proprietaria della villa di Viareggio (peraltro in pessime condizioni) e, credo, di una quota di diritti. Nel frattempo un cospicuo numero di parenti (22, credo) del Belladonna fanno causa al nipote che aveva ereditato sostenendo che all’epoca del testamento il Belladonna non fosse capace di intendere e di volere, questa causa si sta ancora trascinando ma una quota di diritti andrà anche in questa direzione. Le ultime notizie vogliono annullato l’ultimo testamento del Belladonna e resuscitato un testamento precedente, per cui si andrà alla spartizione fra i 22 nipoti. Una scena che sembra presa dal Gianni Schicchi: ma come sempre quando si tratta Puccini, nemmeno il più fantasioso degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare la realtà.

Molto più difficile sarebbe il discorso sull’eredità artistica di Puccini. Doloroso da dirsi, ma con l’arte di Puccini la famiglia ha poco da spartire. Nulla aveva da spartire Elvira, sostanzialmente estranea all’arte del marito; ancora meno Antonio. Anche Fosca, figliastra di Puccini, che in quella casa sembrava la più accorta, niente aveva da dire sui motivi profondi dell’arte del maestro. – Non che questo ci si aspetti dalla famiglia di un compositore: sono veramente poche le consorti di un compositore che ne siano in qualche maniera partecipi del processo creativo; i nomi che mi vengono in mente potrebbero essere Anna Magdalena Bach e Clara Schumann. Anche la Strepponi, che fu la moglie ideale per Verdi e per certi periodi ne fu quasi la segretaria, si ritraeva davanti al mistero di una mente che crea la musica dal nulla.

Paradossalmente, il processo creativo delle opere di Puccini era quasi un lavoro collettivo: Puccini si trovava al suo meglio quando poteva frustare i suoi librettisti e sfidarli a continui ripensamenti ed affinamenti. Molte sono le confindenze e le corrispondenze, sia con Sybil Seligman che con Illica, Ricordi, Giacosa, Adami, Forzano ed altri in materia sia di possibili soggetti che dell’effettiva stesura dei libretti. Però il momento della creazione della musica, che è un lavoro lento e sfibrante, di continui tentativi e ripensamenti – a maggior ragione per i compositori che si sono trovati a vivere in epoche dove il linguaggio musicale non sia standardizzato – è un momento troppo personale, che difficilmente può essere condiviso. Puccini spesso componeva in compagnia degli amici, che non lo disturbavano, purché ignorassero del tutto la sua presenza e non commentassero quello che stava facendo. Una cosa questa che, penso, può capire solo chi ha scritto musica in proprio.

Puccini non ha avuto allievi, a parte qualche lezione privata in gioventù, incluso forse qualche pericolosa lezione alla giovane signora Elvira, e l’ungherese Ervin Lendvai che gli fu mandato, visse anche a Torre del Lago ma che poi non si dedicò alla composizione. (Puccini era molto affezionato alla sorella di Lendvai, Blanka, fino a quando – apprendiamo da una lettera di Ervin – Elvira fece un bel repulisti gettando nella spazzatura tutte le lettere e le foto che Blanka aveva inviato.) Puccini non ha neanche successori; egli stesso fu scelto da Ricordi quale ideale successore di Verdi, ed ha ripagato ad usura la fiducia che la Casa gli volle accordare, ma in definitiva Puccini stesso chiude con Turandot un capitolo della storia della musica. Se un seguito si vuole trovare a Puccini, a mio avviso bisogna cercarlo più nel cinema che nella musica.

La signora Simonetta, sentendosi a pienissimo titolo unica erede di Puccini, da una parte ha compiuto delle operazioni meritorie – segnalo, per dirne due, le edizioni delle lettere di Fontana Puccini e di Puccini a Schnabl – e da quell’altra parte ha tentato di orientare le ricerche pucciniane in senso a lei gradito; per esempio chiedendo che alcune lettere non vengano pubblicate nell’edizione completa dell’epistolario - il che non ha comunque molto senso, visto che il testo della maggior parte di esse è disponibile da qualche altra parte. C’è da dire comunque che quando la maggior parte delle carte di Puccini erano nelle mani della Dall’Anna, è stato possibile agli studiosi accedervi con maggiore facilità che non negli ultimi tempi. Con la scomparsa di Simonetta si apre adesso una fase di incertezza ulteriore. Non mi è difficile predire che presumibilmente carte e beni immobili passeranno a qualche istituzione, bisogna vedere come questo avviene. E non mi è difficile predire che, non essendoci più nessuno titolato ad impedire la pubblicazione, non ci saranno probabilmente in futuro più segreti su alcuni passaggi biografici. Alcune cose, viceversa, non avranno mai risposta definitiva. Per esempio,  la questione se il padre del figlio di Giulia Manfredi fosse davvero Puccini non potrà essere risolta: la legge italiana non consente ai discendenti di un supposto figlio illegittimo di chiedere accertamenti. Lo stesso succederà con i discendenti di Renato Gemignani che qualcuno pure sospetta figlio di Puccini. C’è da dire che mi sembra che a Torre del Lago ci sia stata per molti anni una psicosi pucciniana, per cui era titolo di nobiltà vantare che la propria nonna era stata con Puccini, e mi sembra che i maschi si facessero crescere i baffi per poter vantare una somiglianza con Puccini che in almeno un caso è diventata parentela ipotetica. Simonetta ha troncato nettamente questi tentativi di allargare la discendenza Puccini.

In una cosa Simonetta ha seguito la tradizione di famiglia, già inaugurata da Rita Dall’Anna e dalla stessa Fosca: nominare Doria Manfredi non era gradito. Possiamo capire Fosca – le lettere alla Seligman che sono filtrate senza censura ci fanno sospettare che Fosca avesse a che fare con la fine di Doria – ma oltre un secolo dopo i fatti la censura non è accettabile. L’affare Doria pesa come un macigno non solo sulla vita di Puccini ma anche sulla sua creazione musicale. Non si può pretendere nel 21° secolo di fare come Adami e Gara che nel pubblicare i loro epistolari saltano un anno intero come se in quell’anno non fosse successo nulla.


Come ho già scritto tempo fa, Antonio fece allestire una sorta di mausoleo per i genitori al piano terreno della villa di Torre del Lago, e lui stesso riposa per sempre insieme con loro. Sia pace su una famiglia che, in vita, di pace ne ebbe poca. Leggo che a breve si aggiungeranno anche le ceneri di Simonetta. Con questo, dichiariamo chiusa la famiglia Puccini.

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