15/10/17

Josephine von Stengel, la fagiana

(Post di eccezionale lunghezza su Puccini e la von Stengel, dove si racconta come una fagiana fu spiumata)


Qualche nota sulla Josephine von Stengel che pure fu amante di Puccini. Per intensità e durata una storia paragonabile a quella di Cori; ma con toni ben diversi. Nel 1973 Arnaldo Marchetti pubblica “Puccini com’era”, la prima raccolta di lettere di Puccini parenti e amici che non sia stata pesantemente censurata, e che ne fornisca un ritratto talmente veritiero da non essere complessivamente diverso da quello che ne abbiamo oggi. Marchetti riporta tre lettere, di cui una in facsimile, della von Stengel; e Sartori, che all’epoca era il più serio degli esperti pucciniani, nella prefazione del volume si rammarica che non si possa trovare niente di più di lei. La relazione si pone principalmente negli anni de La Rondine. Sartori sperava forse di ricavare dalla von Stengel qualche indizio su Rondine.

Lo studioso che se ne è occupato di più è stato Schickling – comprensibilmente, essendo la von Stengel tedesca – ed è colui che è riuscito a trovare documenti e raccogliere testimonianze fino a quando le figlie della von Stengel erano ancora vive. Schickling ha pubblicato su di lei un articolo nel 1999, non facile da trovare. Per cui oggi abbiamo molte informazioni su di lei che a Sartori sfuggivano, ma tutto sommato nessuna informazione aggiuntiva su La Rondine. A parte qualche dettaglio è verosimile che non sapremo niente di più, perché per il 2009 tutte le discendenti della Stengel – due figlie e una nipote – erano scomparse in tarda età e la famiglia estinta. La ricerca di Schickling ha avuto anche dei veri e propri colpi di genio come andare a cercare negli archivi dei servizi segreti italiani. A me piacciono questi musicologi che fanno il lavoro duro sul campo a caccia di documenti. E ricercare di una persona, come la von Stengel, tutto sommato comune, protagonista di una vicenda fulminante che attraversa parte della sua vita ma non entrata nella storia è difficilissimo.

Sulla von Stengel ci sono pochissime fonti dirette: le tre lettere di lei pubblicate da Marchetti ed una di lui recuperata in copia da Schickling. Da un antiquario qualche tempo fa girava una ulteriore lettera di lei. Poi una foto sulla pietra tombale che la ritrae, bellissima, da giovane; e una del 1919 dove è un po’ più rotondetta ma sempre sorridente. Lei dette ordine alle figlie di distruggere tutti i suoi ricordi alla sua morte e le figlie hanno eseguito. – Esiste poi la solita traccia di allusioni nella corrispondenza di Puccini che ci permette quasi di fare una cronologia degli incontri. Qui finiscono le fonti dirette, e non è molto. Poi esistono due tradizioni di racconti: quella degli amici di Puccini tipo il Marotti e quelle della famiglia di lei raccolte da Schickling. La cosa interessante è che Schickling di principio ritiene inaffidabile il Marotti e che in generale l’aneddotistica italiana sia stata “ricamata”, però molti dettagli riferiti dal Marotti vengono confermati, come fonte indipendente, dai racconti della famiglia di lei.

Josephine nasce come Damboer nel 1886, figlia di un ufficiale di carriera bavarese; a venti anni sposa un barone Arnold von Stengel, anche lui ufficiale dell’esercito e di famiglia molto importante alla corte di Monaco – ricordo che anche se la Germania era di fatto unificata sotto il Kaiser, la Baviera fino al 1918 fu un regno formalmente ma non di fatto indipendente sotto la dinastia Wittelsbach. Nascono quasi subito due bambine, Margot e Gudrun. Il matrimonio non è molto felice ma lui le lascia una certa libertà di viaggiare. Secondo la tradizione aneddotica italiana Puccini vide passare questa donna bellissima, accompagnata da due bambine piccole e dalla loro governante, mentre si trovava seduto al Gran Caffè Margherita di Viareggio; ma Marotti aggiunge che già si erano conosciuti all’estero. Secondo i parenti della von Stengel c’era stato un incontro casuale a Bad Brückenau, stazione termale non lontana da Francoforte – il che tornerebbe con i problemi renali che poi la porteranno alla tomba. A Viareggio la von Stengel ci sarebbe andata per far respirare un po’ di aria di mare alle bimbe e su consiglio di Puccini. Puccini aveva appena comprato un motoscafo e si sarebbe scatenato in gite marine con la bella forestiera. In ogni caso non sapremmo dove collocare nel tempo questi primi incontri. Sappiamo viceversa dove e quando collocare la prima notte di amore: in un alberghetto riservato di Monaco, il Marienbad, fra il 12 e 16 giugno 1912. Lo sappiamo perché nel 1924 Schnabl, l’amico di Puccini che in tutta questa vicenda fornisce spesso coperture ai “giri pesca”, si ferma per caso a dormire proprio al Marienbad e scrive a Puccini su carta intestata dell’hotel. Questo provoca una crisi di nostalgia al maestro, che ricorda ancora la notte  del primo rendez-vous, e sono passati dodici anni. Come l’amore con Cori fu bollente, quello con la von Stengel fu tenerissimo.

La relazione prosegue un po’ sulla falsariga di quella con Cori: Puccini trova le scuse per appartarsi con lei, viaggiando in Germania: lo vediamo in agosto a Monaco, Norimberga, Bayreuth, Karlsbad, a Monaco di nuovo in dicembre e così via. Da Karlsbad scrive sia alla nipote Albina che alla Seligman citando un’altra cura, oltre quella delle acque, che gli fa bene. E negli intervalli fra le sortite tedesche Josephine viene a Viareggio, che altrimenti non si può spiegare perché Puccini senta il bisogno di soggiornare in alberghi a pochi chilometri da casa sua. La stessa Giulia Manfredi, cugina di Doria, raccontò di aver ospitato per conto del maestro una tedesca alta e bellissima. Puccini se la dev’essere portata dietro a Capalbio, a una caccia in Maremma e a una gita in auto dell’Italia centrale.

Elvira avverte qualcosa ma da principio non capisce. Da Karlsbad (e siamo dopo la seconda uscita con la von Stengel) torna un Puccini assente di testa, in una lettera Elvira lo rimprovera di non averla salutata né abbracciata, di essersi chiuso nel mutismo e di averla trattata come un mobile di casa. – Da Monaco in dicembre Puccini scrive tre lettere a D’Annunzio circa i loro progetti (mai realizzati) di scrivere un’opera insieme. D’Annunzio doveva certamente sapere della von Stengel, perché nella seconda lettera lei aggiunge un poscritto in tedesco firmato Josi per ringraziare del regalo di un libro con dedica. E Puccini nella terza lettera dice che mentre sta scrivendo, una mano gli sta accarezzando i capelli; aggiunge anche di non parlare di lei nelle lettere dirette a Torre del Lago, che evidentemente potevano essere intercettate da Elvira.

Come con Cori Elvira impiega solo qualche mese a scoprire la tresca. Secondo Marotti qualche spia andò a riferirle i movimenti viareggini della coppietta. Per cui Marotti narra che ad un convegno amoroso nella macchia di Migliarino, dove Puccini di solito cacciava il fagiano, intervenne inattesa anche Elvira. E, commenta Marotti, "la fagiana fu spiumata". Nel bis di un episodio quasi identico con la Cori dieci anni prima, un altro incontro in pineta vide nuovamente l'intervento di Elvira e la von Stengel ebbe naturalmente la peggio ("stesso spartito, cambia la cantante"). Mi sovviene qui che secondo Vincent Seligman (il figlio di Sybil) che la conobbe da bambino, le mani dell’Elvira erano particolarmente ampie e pesanti. E probabilmente la baronessa non aveva l’abitudine dell’Elvira al combattimento.

Come con la Cori Puccini troverà la maniera di portarsela in casa a Torre del Lago mentre Elvira non c’era perché Puccini era un grande seduttore, ma italiano e quindi la casa è sempre la casa. Sembra che ad un certo punto, in una ulteriore ripetizione del caso Cori, Puccini la abbia anche fatta sorvegliare a casa sua da un detective senza che emergesse nessun carico.

Nel 1913 lei divorzia dal marito, l’atto assegna la colpa a lei e le bambine quindi vengono affidate a lui. Nella tradizione di famiglia sembra che il marito fosse piuttosto geloso, li facesse spiare e dopo il divorzio insistesse per sfidare Puccini a duello; nei racconti di Marotti c’è un marito, non meglio specificato di chi, che sfida Puccini a duello ma ovviamente Puccini non ci pensa neanche lontanamente ad accettare la sfida. Josephine spererà a lungo che anche Puccini divorzi dall’Elvira per sposare lei; in Italia il divorzio non esisteva ma Alberto Franchetti, altro compositore della scuderia Ricordi, era riuscito a divorziare in Germania da un matrimonio italiano. Possiamo lecitamente credere che la speranza di un matrimonio gliela abbia messa in testa Puccini. Una speranza impossibile. Penso che, con tutta la sua gelosia e le sue scenate, l’Elvira fosse una parte essenziale del ménage di Puccini: la poteva tradire e poteva sopportare sportivamente la sua gelosia, a volte anche ridendoci sopra, ma rinunciare a lei e cambiare radicalmente vita gli sarebbe stato troppo faticoso. Non lo fece con Cori, non lo fece dopo il caso della Doria, non succederà neanche con la Josi.

Nel 1914 inizia la guerra mondiale e il marito della von Stengel viene richiamato al fronte, dove muore il 26 febbraio 1915. Le tre lettere di lei che ci sono rimaste si riferiscono esattamente a questo momento. Le bambine rimangono affidate al suocero, il divorzio ha creato un po’ di scandalo e lei non è in condizione di reclamarle e un avvocato la consiglia in tale senso. Puccini acquista il 31 marzo, di nascosto all’Elvira, un appezzamento di pineta a Viareggio dove costruire un nido d’amore per la Josi. Ma il 23 maggio l’Italia entra in guerra contro la Germania: lei diventa un soggetto nemico e non può più venire in Italia, lui non può più andare in Germania e anche il servizio postale diretto si interrompe. Qualche lettera può forse passare tramite un intermediario in Svizzera, territorio neutrale. Dato che i committenti di Rondine sono austriaci, quindi nemici anche essi, Puccini deve andare in Svizzera per incontrarli e probabilmente vede anche lei. Dato che Puccini scrive all’Elvira di non aver incontrato “quella persona”, probabilmente è vero il contrario.

In una notte che in famiglia si racconta come drammatica Josephine fa il colpo di mano. Rapisce le bimbe al suocero e le fa sparire in Svizzera; da novembre 1915 ottiene il permesso di soggiorno a Lugano dove rimarrà fino al 1919. Puccini ha conoscenze altolocate, ottiene un passaporto non facile da avere in tempo di guerra e può andare a visitarla regolarmente, più o meno una volta al mese, da Milano. Gli incontri di Puccini con una donna tedesca altolocata, figlia e vedova di militari, non passano inosservati, tanto più che si riferisce, probabilmente senza fondamento, che lei si incontri con altri ufficiali tedeschi e che sia una spia. Le bimbe vedono arrivare ogni tanto questa persona che chiamano Jacques, ma non sanno chi realmente sia. Puccini passa molte grane, viene sorvegliato dai servizi segreti e il console italiano a Lugano minaccia di fargli ritirare il passaporto. Schickling ha trovato una cartella a nome Puccini negli archivi del ministero dell’interno ed in essa è la copia dattiloscritta, effettuata da un ufficiale della censura di un innocuo messaggio di lui a lei. La busta era stata aperta con il vapore, la lettera (indirizzata a “Mucchietto” e firmata “Muccino”) copiata e poi richiusa. L’originale, ovviamente, sarà stato distrutto dalle figlie. Per merito di questa spiata abbiamo una copia di un’unica lettera sfuggita alla distruzione.

Secondo l’aneddotica, a cui Schickling non crede, Puccini trova un angelo custode nel commissario Raffaele Monaco, originario napoletano e distaccato al posto di frontiera di Chiasso. Monaco si convince rapidamente che gli incontri di Puccini sono di natura amorosa e chiude un occhio nonostante gli ordini che arrivano da Roma. Si narra che Monaco interrogasse Puccini una prima volta, raccomandandogli di trovarsi una amante italiana se proprio voleva e di piantarla con quei viaggi che destavano il sospetto. E Puccini avrebbe risposto “al c. non si comanda”. Dopo qualche tempo Monaco fu costretto a fermare nuovamente Puccini perché era arrivato un dossier relativo ad una lettera anonima che lo denunciava come spia. Secondo l’aneddoto, la lettera anonima era nella calligrafia di Elvira.

La relazione va avanti con queste difficoltà negli anni della guerra; paradossalmente, quando la guerra termina e la relazione potrebbe riprendere senza problemi organizzativi, invece va a morire. Nel 1919 la von Stengel ha finito i suoi soldi, Puccini la installa con le figlie e la mantiene, chissà perché, a Casalecchio vicino a Bologna; ma tronca la relazione quando dal parroco di Casalecchio arriva una segnalazione, anche questa probabilmente falsa, che la von Stengel si vede con un capitano dell’esercito italiano. Da lei arriva ancora qualche lettera, e, poco più tardi, la richiesta di un prestito di 10000 lire per impiantare un albergo a Bologna. Del Fiorentino riferisce che Puccini, in memoria di tanti bei momenti passati insieme, non può ignorare la richiesta e le invia 5000 lire non in prestito ma in regalo. Anche Gragnani, altro amico, parla di questo aiuto economico. E’ l’ultimo atto: non si sentiranno mai più. Nell'appezzamento di pineta a Viareggio viene costruito un villino, ma per Puccini e l'Elvira: sarà il luogo della stesura di Turandot. Negli ultimi anni il nuovo amore di Puccini è la cantante Rose Ader. La von Stengel apprenderà la notizia della morte di lui dai giornali.

Secondo i ricordi dei parenti, Josephine passa i suoi ultimi anni a Bologna, piuttosto duri perché l’inflazione tedesca ha fatto evaporare il patrimonio di famiglia. Dell’albergo non se ne farà niente. Trova un non meglio identificato Ferrari, assai benestante, che vorrebbe sposarla; lei non accetta ma Ferrari mantiene comunque lei e le figlie come un padre. Josephine muore di malattia renale nel 1926, a quaranta anni e neanche due anni dopo Puccini. Il Ferrari mantiene le due bambine fino a maggiore età; queste seppelliscono la madre in una semplice tomba a Bologna, ancora esistente, poi tornano in Germania.

Questi sono i fatti. La von Stengel oltre che alta e bella, era anche gentile, simpatica, colta, appassionata di musica, forte nell’affrontare i casi della vita e dolcissima con Puccini. In altre parole, tutto quello che Elvira non era. Le sue tre lettere del marzo 1915, dove immagina una vita quale sposa di Puccini – piccole cose, apparecchiare la tavola, stare insieme davanti al cambino - sono scritte in un italiano scorretto, a tratti trapattoniano, ma simpaticissimo. Confesso che per la loro innocenza e il sentimento di amore devoto non riesco a leggerle senza rimanerne commosso. Leggete anche voi ad alta voce un passo, aggiungete un lieve accento tedesco e vi sembrerà di sentirne la voce.  Lettera probabilmente da Stoccarda, il 24 marzo 1915.

“[…] Come vorrei stare con te! Mi arrabbio che non lo sono ed ora dove tu sei solo. Che bella occasione! Oh, Giacomo, come soffro per ciò. Non ho ancora notizie per le cose mie [le pratiche legali per l’eredità del marito e l’affido delle bambine]. Se io potrei andare da te o insomma subito da te senza cambiare l’abitazione, che bellezza sarebbe! Che felicità! Aspettiamo cosa vuole Dio! Ma io sono la tua, questo sì! Penso molto a te e con tanti dolci pensieri. Dio benedica te, me e aiuta noi! Sento un mondo d’amore per te e sento come mi ami anche tu! Ci siamo inseparabili. Lunedì ho le bambine - mi sento così sola qui! Se tu mi cercasti! Che bellezza! Raccontami un pò della vita che tu fai. Lo fai per me? Non guardi nessuna? Io penso a tante cose. Noi due, credi, ci stiamo in continuo torturo per tante cose inutile! Ma la premura d'essere insieme, diventa un vero torturo e poi vengono anche altri pensieri nella disperazione. Tu mi hai detto, che a Viareggio comprasti un terreno e vuoi far fare una villina! Non hai detto nulla ancora a nessuno? Spero; troverei che questa confidenza sarebbe ingiusto quando si vive in questi condizioni come ora. E tu lo farai per me! E poi speriamo che noi potremo abitare insieme in questa casetta! Lo vuoi? Che delizia sarebbe. Oggi danno Tosca a Monaco. Addio mio tesoro ti bacio tanto tanto la tua bocca e ti stringo teneramente al mio cuore. Tua Busci.”

Quando Josi scrive queste parole, l’Italia non è ancora entrata in guerra contro la Germania, ma dai giornali si capisce come andrà a finire e Josi lo sa benissimo. Solo una incrollabile ottimista avrebbe potuto scrivere qualche cosa del genere.







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